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Va in pensione il dottor Rossi, pioniere della Medicina di Gruppo che ora è a rischio. Misericordia: «Nell’entroterra situazione drammatica»

AMANDOLA - La struttura, che da oltre 20 anni garantisce il servizio attraverso un sistema che potrebbe rappresentate il futuro della sanità territoriale, resta con soli 3 professionisti e nessuno con la condotta in sede.  Paolo Misericordia (Fimmg): «Situazione drammatica nell'entroterra fermano. Bisogna agire subito. Nel post Covid, inoltre, a livello nazionale c'è stato il burnout del comparto»

 

Paolo Misericordia e Franco Rossi

 

 

di Maria Nerina Galiè

 

Dal primo maggio, la medicina generale dell’entroterra fermano perde uno dei suoi punti di riferimento: va in pensione il dottor Franco Rossi, con condotta in Amandola. In compenso il dottor Rossi lascia al territorio una bella eredità, la Medicina di Gruppo che però è a rischio smantellamento se non si fa qualcosa subito.

 

Riepiloghiamo. Salgono adesso a 3 le carenze su Amandola (rilevate dal 2021), dopo il pensionamento dei colleghi Lando Siliquini e Giorgio Fiori. Uno solo al momento il “rimpiazzo”, la dottoressa Mara Barchetti, che sta terminando l’iter formativo, pertanto ha un limite di 650 pazienti.

Con l’uscita del dottor Rossi, ad Amandola la carenza diventa una voragine. La soluzione, nell’immediato non c’è.

 

Lo conferma anche il dottor Paolo Misericordia, medico di medicina generale di Sant’Elpidio a Mare, segretario provinciale Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale).

«Sono in contatto quotidiano, in questi giorni, con i colleghi della zona. La situazione è complicata, nelle aree interne più che altrove. In tutto il Fermano la carenza del 2022, sommata ai mancati rimpiazzi del 2021 e 202o, arriva a 30 unità», ammette Misericordia.

 

Apprezzato e stimato non solo ad Amandola, il dottor Rossi, che è anche presidente Avis (carica che invece non lascia), una ventina di anni fa ha promosso quella che sembra destinata ad essere la medicina territoriale del futuro: la Medicina di Gruppo. E’ lui stesso a spiegare di che si tratta: «Più medici in una stessa sede che lavorano, a turno, coprendo l’intera giornata. Abbiamo a disposizione un server che ci permette di condividere le schede dei pazienti i quali, in qualsiasi momento di apertura dell’ambulatorio, trovano assistenza».

 

Erano in 6 all’inizio. Con l’uscita di Rossi restano in 3, Vincenzo Barchetti, Giuseppe Gallo e Noemi Raffelli. Due di loro sono prossimi alla pensione ma, soprattutto, nessuno di coloro che resta ha la condotta in Amandola, dove ha sede. Barchetti ha la condotta a Montefortino, Gallo a Montelparo e Raffelli a Montefalcone. Troppo pochi per coprire l’orario ambulatoriale e, nello stesso tempo, le proprie condotte.

 

«Perché poi questi medici che restano dovrebbero assumersi la responsabilità di pazienti che non sono nel loro elenco?», solleva il dottor Misericordia, che però, nello stesso tempo, individua proprio in quella struttura una possibile via d’uscita per sopperire al vuoto.

 

«Con soli tre medici – afferma il dottor Misericordia – è insostenibile mantenere la Medicina di Gruppo. Sarebbe davvero risolutivo dotare la struttura di segretaria e infermiera, a fare da supporto e organizzazione per i medici.

Nelle zone svantaggiate è prevista contrattualmente un’indennità aggiuntiva per assumere tali figure professionali. Ma la pratica sarebbe troppo lunga a livello burocratico. Qui la soluzione va trovata adesso. Quindi stiamo intavolando con la Regione e l’Asur un discorso per un intervento immediato in tal senso».

 

Altre misure? Ma non in tempi brevi e nemmeno attuabili. 

«Si dovrebbe pensare – a dirlo in questo caso è il dottor Rossi – di circoscrivere la possibilità di scelta del medico di famiglia in base alla residenza. Un medico ora può essere scelto da tutti i cittadini di Area Vasta 4. Riempie quindi facilmente il massimale e, potendoselo permettere, resta nelle zone più “comode”. I comuni dei Sibillini restano quindi sedi meno appetibili».

 

Nemmeno la possibilità di allargare il massimale da 1.500 a 1.800 pazienti aiuta: infatti nella zona montana nessun medico ha optato per questa scelta.

«Un conto – sono le parole del dottor Misericordia – è avere 1.800 pazienti in città. Un altro in montagna, avendo a che fare con un territorio più vasto e logisticamente svantaggiato».

 

Franco Rossi non lascia a cuor leggero il lavoro che ha abbracciato 40 anni fa: «Il mio pensionamento era previsto per il primo gennaio. Ho tirato fino ad ora. Ma adesso è il momento che mi faccia da parte.

Questo ultimi due anni – aggiunge – sono stati difficilissimi. Dopo il pensionamento di Fiori e Siliquini, mi sono ritrovato da solo, in piena pandemia, poi con la campagna vaccinale. E la Rsa. Anche quella ho dovuto seguire da solo. La seguivamo, in tre, dalla sua istituzione in Amandola, compreso il periodo dell’immediato post sisma, quando gli ospiti sono stati appoggiati a Fermo e Montegranaro. Ogni giorno, uno di noi faceva la spola tra Amandola e le altre due località». 

 

Non è certo il caso del dottor Rossi, rimasto fedele e legato alla professione, «ma a livello nazionale – testimonia Misericordia, reduce da un partecipatissimo incontro con il Ministro della Salute – la pandemia ha generato un gravissimo fenomeno di burnout del comparto». Erosione e sfinimento per dirla nella nostra lingua «i cui effetti non si erano mai visti: oltre all’uscita anticipata dalla professione, molti medici in pensione si sono proprio cancellati dall’ordine. Nessuno lo faceva prima, rimanendo attaccati in qualche modo al camice. Ora si è registrata una vera e propria repulsione. E la cosa è piuttosto preoccupante. Ci vorranno anni prima che la ferita si possa risanare».


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