di Giorgio Fedeli
Diego Giacoponi può finalmente mettere piede nella sua casa, dopo ben 18 anni. Il Consiglio di Stato ha detto sì. E lui, vinta la battaglia legale col Comune, può finalmente iniziare la sua vita nella casa colonica che ha costruito sulla collina sangiorgese.
Perché finalmente? Perché dopo ben 18 anni? Beh, semplice. Perché quella casa colonica è stata oggetto di un contenzioso tra il privato e il comune di Porto San Giorgio che, appunto, iniziato nel 2004 ha visto scritta la parola fine dalla magistratura proprio nei giorni scorsi con una sentenza che concede a Giacoponi di poter mettere piede nella sua ‘nuova’ residenza. Una sentenza che fa, a questo punto, giurisprudenza con la parola ‘crinali’ che diventa dirimente.
Un salto indietro di 18 anni è necessario per inquadrare la vicenda. E’ il 2004, dicevamo, quando Giacoponi, tramite il suo architetto Luca Nasini, presenta al Comune una richiesta di permesso a costruire una casa colonica sulla collina sangiorgese. Gli uffici comunali sangiorgesi rilasciano il permesso e il privato inizia a costruire. Passano un paio d’anni. Giacoponi arriva praticamente a concludere l’edificazione (mancano solo le finiture interne) quando, forse per un esposto o una segnalazione anonima, il Comune effettua un sopralluogo e, a seguito dell’accertamento, fa partire una richiesta di sospensione dei lavori. Perché? Per il Comune la casa è in difformità rispetto al permesso a costruire e si trova sul crinale. Passano altri 8 mesi e, ovviamente, come era facile ipotizzare, arriva anche l’ordinanza di demolizione. E qui entra in scena l’avvocato Giovanni Lanciotti, che in questi anni, ha assistito Giacoponi nella sua battaglia legale. Il privato, infatti, tramite l’avvocato Lanciotti, presenta ricorso al Tar che concede la sospensiva a demolire ma poi, e siamo arrivati al 2019, rigetta il ricorso. A quel punto Giacoponi e il suo avvocato, con a fianco l’architetto Luca Nasini, decidono di chiamare il Comune nel merito della vicenda. E l’unica strada da percorrere è quella che porta al Consiglio di Stato.
«Tutto questo perché il Comune era irremovibile sulla sua posizione secondo cui quella casa lì non ci poteva stare perché sul crinale – spiega Lanciotti – ma nel frattempo aveva già riconosciuto una difformità tra il Piano paesaggistico regionale e il Piano regolatore generale del Comune stesso». Un inciso tecnico: il Prg comunale, sul fronte tutela e rispetto delle zone inedificabili, si rifà proprio al Ppar regionale. «Noi sapevamo che la casa era conforme a quanto dettato dal Ppar e avevamo avuto modo di capire e appurare che era il Prg che presentava delle incongruenze – aggiunge l’avvocato di Giacoponi – anche perché il Prg era approvato in conformità proprio al Ppar. E quindi la casa era conforme al Piano paesaggistico regionale. Ma a quanto pare per il Comune non lo era, Prg alla mano». E qui entrano prepotentemente in ballo i crinali, che poi sono il pomo della discordia. Sì perché per il Comune il casolare è su un crinale. Non ci può stare e va demolito. «Ma il Consiglio di Stato ha nominato un verificatore che ha accertato come il tracciato dei crinali (che sono zone di rispetto paesaggistico) a Porto San Giorgio sia errato. Ecco quindi che il Consiglio di Stato recepisce il parere dell’accertatore e condanna il Comune al pagamento delle spese legali e a quelle per il lavoro del verificatore». Ma dalla disamina dell’avvocato Lanciotti emergono due, non uno solo, aspetto fondamentali: il tracciato dei crinali sangiorgesi e i limiti di edificabilità: «Stando al pronunciamento della magistratura emerge sia un errore nella trasposizione dei vincoli dal Ppar al Prg sia nel concetto di edificabilità: nel Ppar non si parla di inedificabilità totale, nel Prg sì. Questo secondo aspetto è stato sanato dal Comune con una variante nel 2021 anche se le cartografie non sono state modificate (per ciò che concerne i tracciati dei crinali, due sul territorio comunale). Ora è lecito domandarsi: se qualcuno ha presentato una domanda di edificabilità prima del 2021? Il Comune ha negato eventuali autorizzazioni? In questo caso sarebbero stati pregiudicati i diritti dei cittadini richiedenti». Insomma il ‘caso’ Giacoponi rappresenta un vero e proprio precedente sull’urbanistica sangiorgese.
E i danni? «Il Consiglio di Stato – spiega l’avvocato Lanciotti – dice che ci spettano di diritto. Li abbiamo chiesti ma sappiamo che non possiamo provarli perché non abbiamo mai voluto forzare la mano col Comune, cercando sempre una soluzione bonaria anche se in tutti questi anni il mio assistito non ha potuto fare nulla, con la paura dietro l’angolo di doverla addirittura demolire. Ora però Giacoponi ha potuto finalmente mettere piede nella sua casa. Ci abita. Non posso non ringraziare anche l’architetto Nasini che in tutti questi anni ha apportato un costante e prezioso contributo tecnico nella battaglia legale che abbiamo condotto con il mio assistito».
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