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«Adolescenti finti e finti adolescenti»

IL PUNTO di Giuseppe Fedeli sulle nuove dimensioni di giovani e meno giovani, di padri e figli

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

“L’adolescenza è la vita: prima non c’è niente, dopo solo il ricordo” (P. P. Pasolini)

Dietro il fenomeno dei padri che vogliono ritornare a “indossare” i panni dei figli, da “giovani promesse” del terzo millennio, e degli adolescenti che anelano a bruciare le tappe dell’esistenza, per essere catapultati con un colpo di bacchetta magica nel mondo dei grandi, si nasconde la fine dell’età adulta, e, in convergenza, l’aspirazione ad uccidere la freschezza dei sogni, travestendosi con mille maschere che nascondono il vuoto dei valori e la corsa insensata a un successo fatto di finta claque e performance da baraccone. A un certo punto della sua parabola, l’uomo/padre si risveglia da un sonno di decenni, e rivuole la sua vita, la sua libertà, il sogno faustiano di un’eterna giovinezza. Specularmente, e di rimando, i figli, rincitrulliti dalla grancassa mediatica, esaltati dai nuovi strumenti della (non)comunicazione, annaspando nell’etere si fingono una “realtà” a loro uso e consumo, misura e piacimento, pronti al grande salto verso la fama, la notorietà che cancelli dal loro volto imberbe i segni della puerizia per camuffarli nel sembiante delle star.

Le ragioni di questo atteggiamento bi-valente (quando non ambivalente) vanno reperite nella smania narcisistica di piacere da una parte, autoconvincendosi che ci sia sempre una tela da dipingere per il Dorian Gray che lo desideri, e, dall’altra, nella smania bruciante di varcare il fatidico limite, per assomigliare a un modello che si è disposti a negoziare a prezzo della propria identità, costi quel che costi. Adulti che hanno passato il mezzo secolo che si conciano e truccano uso rockstar – uomini e donne indistintamente, lifting e raggi Uva, ventre piatto e glutei siliconati- per rendere “appetibile”(?) il proprio aspetto a inseguire una chimera, e ragazzi/ragazze anch’essi unti di cerone e mascara che si vergognano delle loro lanugini, e vogliono prepotentemente sfondare il muro dell’adultità, dentro vestimenti e dietro a maschere che celano il nulla assoluto, sostanziato di fame di riflettori e soldi, soldi, soldi, a buon mercato, senza quell’olio di gomito che ha “nutrito” e fatto grandi talenti volonterosi e meritevoli di riconoscimento sociale. Una vera e propria Babele. In effetti, a imperare è la cultura dell’immaturità, come da anni predica e mette in guardia lo psicanalista Massimo Recalcati, che racconta l’uccisione allegorica dei padri (parto primo dell’iconoclastia dei figli del sessantotto), e la caduta simbolica della differenza generazionale. Cosa può insegnare un padre (un genitore) a un figlio, se si pone sulla stessa lunghezza “generazionale”? Diceva Anna Harendt: Abbiamo, noi padri, il dovere di portare i nostri figli nel mondo, con responsabilità e autorevolezza: da “precettori” e maestri di vita, per l’appunto: e non da grotteschi Peter Pan, alla ricerca dell’età perduta.

* giudice


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