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“Fuori la mafia dallo Stato” riempie il teatro. Ilardo: «Mai dimenticare i fatti e la verità»

PORTO SAN GIORGIO - Incontro-dibattito ieri al teatro comunale di Porto San Giorgio, organizzato, in collaborazione con AntimafiaDuemila, da Christina Pacella e Leonardo Minnozzi, attivisti del movimento delle Agende Rosse. Presente anche Luana, figlia di Luigi Ilardo. Collegamenti e messaggi di Salvatore Borsellino e Marco Travaglio

di Claudia Mazzaferro

«E’ il compleanno di papà oggi e forse non è un caso che io sia qui, con voi, a raccontare ancora una volta la verità. E a ricordare a voi, oltre che a me stessa, che la mafia non è stata sconfitta, ha solo cambiato volto. I mafiosi non portano più coppola e lupara ma il doppiopetto e la cravatta». Esordisce così Luana Ilardo, figlia del pentito di Cosa nostra e poi collaboratore di giustizia Luigi Ilardo, all’incontro “Fuori la mafia dallo Stato” di ieri al teatro comunale di Porto San Giorgio, organizzato, in collaborazione con AntimafiaDuemila, da Christina Pacella e Leonardo Minnozzi, attivisti del movimento delle Agende Rosse, che opera affinché sia fatta piena luce sulla strage di Via D’Amelio, e quindi sulla sparizione dell’agenda rossa personale del giudice Borsellino, e in generale sugli omicidi e stragi di stato-mafia.

Fu Ilardo a portare le forze dell’ordine a un passo dalla cattura di Bernardo Provenzano, ben prima dell’arresto avvenuto poi nel 2006. Ilardo, dopo undici anni di dura detenzione e la volontà di collaborare con la giustizia per riscattare un passato di sangue all’interno di Cosa Nostra, fu ucciso il 10 maggio 1996 in via Quintino Sella a Catania. Si tratta di uno dei misteri d’Italia, benché i mandanti e killer siano stati condannati in via definitiva all’ergastolo: Piddu Madonia, Vincenzo Santapaola, Maurizio Zuccaro e Benedetto Cocimano. 

«Sono qui perché sono stanca di vedere che – continua Ilardo, dopo i saluti dell’assessore Carlotta Lanciotti – non solo lo Stato non ha avuto il coraggio di processare se stesso ma continua a non dire tutta la verità, a me, alla mia famiglia e a tutta la società civile che deve sapere e non dimenticare mai come sono andate esattamente le cose». 

«I mafiosi non sono stati assolti per non aver commesso il fatto ma sono stati semplicemente prescritti» ha ricordato la Ilardo. «Mi spiace che diverse persone, come quelle con le quali ho lottato in questi anni, se ne escano sostenendo che trattativa non c’è stata. La trattativa invece, per noi c’è stata – ha affermato – e ne abbiamo milioni di conferme dagli atti giudiziari. Totò Riina aveva potuto fare le sue richieste con quel famoso ‘papello’. Sono stanca, lo siamo tutti, che non emergano questi fatti». 

Fanno eco alle parole di Luana, quelle del giornalista Marco Travaglio in una video intervista dalla redazione de Il Fatto Quotidiano e quelle di Salvatore Borsellino in collegamento dalla Sicilia, fondatore del movimento Agende Rosse e fratello del giudice Paolo Borsellino, vittima dell’attentato in via d’Amelio il 19 luglio del 1992, cinquantasette giorni dopo la strage di Capaci in cui perse la vita il suo collega e amico fraterno Giovanni Falcone. 

Da tempo i familiari del magistrato assassinato hanno posizioni molto diverse sui moventi coperti di via D’Amelio. Secondo Trizzino, rappresentante dei figli di Borsellino, la traccia da seguire è quella di “mafia e appalti”, cioè il dossier del Ros sui legami tra Cosa nostra e forze politico-imprenditoriali. Pista storicamente sostenuta dalla coalizione di Chiara Colosimo, presidente della Commissione Parlamentare Antimafia: per la destra, infatti, l’eliminazione del giudice è da collegare al suo interesse per “mafia e appalti” e non, invece, come sostiene Salvatore Borsellino, agli elementi che il magistrato aveva raccolto sulla ‘pista nera’ dietro alla strage di Capaci. E neanche a quanto sostenuto da alcune inchieste poi archiviate: sulla strage di via D’Amelio.

«La memoria non deve essere solo un ricordo – dice Borsellino – Memoria significa anche lotta per la verità e la giustizia. A 30 anni da quei fatti non c’è ancora una giustizia vera. E, purtroppo, proprio in quest’ultimo periodo, si sta tornando indietro, con depistaggi che servono a impedire l’affermazione della verità». 

La mafia ha colpito facendo anche vittime che nessuno ricorda o conosce. A ripercorrere le stragi del 1993 a Firenze, Roma e Milano, davanti ad un teatro gremito, è Stefano Baudino, giornalista e scrittore. 

«Il 26 maggio – interviene Baudino – la mafia decise di colpire in via dei Georgofili a Firenze, nei pressi della Galleria degli Uffizi. A cadere furono cinque persone tra cui Nadia Nencioni, una bambina di nove anni. La sera del 27 luglio un’autobomba esplose a Milano in via Palestro, nei pressi della Galleria d’Arte Moderna e il padiglione di Arte Contemporanea, uccidendo altre cinque persone. Poco dopo, nella notte tra il 27 e il 28 luglio, vennero fatte esplodere due autobombe a Roma, davanti alle chiese di San Giorgio al Velabro e San Giovanni Laterano. Ventidue persone rimasero ferite». 

Il 4 Giugno del 1993, all’indomani delle bombe in via Fauro e agli Uffizi, il Consiglio dei Ministri presieduto da Carlo Azeglio Ciampi e di cui, come Ministro della Giustizia, faceva parte Giovanni Conso, destituì Nicolò Amato (sostenitore della linea dura sul 41 bis) dalla carica di capo dell’Amministrazione penitenziaria. Al suo posto venne nominato Adalberto Capriotti.  «Quale fu l’antefatto di questa delibera? A nostro avviso una lettera – continua Baudino – pervenuta nel febbraio del 1993 al Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro da parte di un “un gruppo di familiari di detenuti». 

Un grido d’allarme giunge ancora oggi dalla Sicilia, dove la criminalità organizzata esercita una forte capacità attrattiva sulle giovani generazioni, coinvolgendo non solo la diretta discendenza delle famiglie mafiose ma un bacino di utenza più esteso al fine di ampliare la necessaria manovalanza criminale. Per questa ragione, Luana Ilardo e Christina Pacella con Mario Ravidà, in servizio alla Dia ai tempi della strage di via d’Amelio, hanno ricordato e incoraggiato i ragazzi della Scuola Media Borgo Rosselli, durante un incontro a scuola ieri mattina, ad avere fiducia nello Stato perseguendo sempre la via della libertà e della giustizia. 

 


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