«Un grande fotovoltaico a Monte Urano. Ancora una crociata contro lo sviluppo economico del Fermano? Basta!». E’ quanto sostiene, in una nota, Federico Giacomozzi, ex assessore di Monte Urano ed ex esponente Pd. Il punto di Giacomozzi arriva in replica al “no” all’impianto del consigliere regionale Pd, Fabrizio Cesetti.
«E’ il primo firmatario dell’interrogazione a risposta orale rivolta al Presidente della Regione e all’Assessore regionale competente in materia, avente ad oggetto: “Procedimento per l’autorizzazione di impianto fotovoltaico a terra nel Comune di Monte Urano, località Via Fonte Murata, e nel Comune di Fermo.” In questa istanza, così come riportato anche dalla stampa, il consigliere Cesetti sprona la Regione (ed a seguire la Provincia di Fermo e i Comuni di Monte Urano e Fermo) ad intraprendere ogni azione utile per scongiurare la realizzazione dell’impianto fotovoltaico nel Comune di Monte Urano in località via Fonte Murata e delle opere connesse ricadenti nei Comuni di Monte Urano e Fermo, invocando la tutela del territorio, dell’ecosistema e delle comunità interessati. L’uomo è fatto di istinto e di ragione. Se prevalesse l’istinto, quindi l’atteggiamento da tifoserie contrapposte – scrive Giacomozzi – io essendo un industrialista per il progresso, come ho avuto modo di sostenere spesso, tappezzerei il territorio, anche agricolo, di pannelli fotovoltaici, pale eoliche, impianti a biomasse/biogas, centrali nucleari, termovalorizzatori, rigassificatori. Fabrizio Cesetti, che è un po’ allergico allo sviluppo, sarebbe contrario a tutto ciò e vieterebbe qualsiasi infrastruttura. Se, invece, l’approccio fosse quello razionale potremmo convenire che l’ordinamento giuridico intende promuovere il bilanciamento degli interessi in gioco, e quindi il giusto equilibrio fra i due approcci “estremisti”. Insomma, direbbero i latini: “in medio stat virtus”, cioè la virtù o la giusta misura stanno nel mezzo. Non di qua, non di là. La normativa vigente già ha stabilito un equilibrio tra fotovoltaico a terra su aree agricole e la tutela del paesaggio. La legge già limita lo sfruttamento solare dei campi. Quindi non c’è nessun allarme da sobillare. Secondo l’aggiornato Piano Nazionale integrato Energia e Clima (PNiEC) redatto e inviato dall’Italia il 1 luglio 2024 alla Commissione Europea, il nostro Paese, entro il 2030, dovrà triplicare la potenza rinnovabile installata, cioè implementare qualcosa come 131 gigawatt di energie rinnovabili, di cui 80 Gw di solare. Se questi 131 Gw li mettessimo a terra su superficie agricola, avremmo bisogno soltanto dello 0,5% dei terreni agricoli disponibili in Italia. Volessimo esprimerlo con un termine di paragone: triplicare la produzione rinnovabile in tutta Italia, significherebbe coprire un territorio grande quanto la sola Amandola. Il Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica del 21 giugno 2024, emanato di concerto con il Ministro della Cultura e con il Ministro dell’Agricoltura, attuativo dell’articolo 20 del decreto legislativo 199/2021 e recante la Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili, cosiddetto “Dm Aree Idonee”, se da una parte disciplina sì le aree in cui è vietata l’installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra nel rispetto dell’articolo 20, comma 1-bis, del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199 (si tratta della disposizione introdotta dall’art. 5 del decreto-legge n. 63/2024, – di recente convertito in legge – cosiddetto “Dl Agricoltura”, il quale, a sua volta, vieta la realizzazione di nuovi impianti nelle aree ricadenti in zone classificate come agricole dai piani urbanistici), dall’altro lato conferma la possibilità di realizzare impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole esclusivamente in alcune tipologie delle cosiddette “aree idonee” espressamente individuate dall’art. 20 del d. lgs. n. 199/2021, come per esempio, cave, miniere, aree nella disponibilità di Ferrovie dello Stato e dei concessionari autostradali, aree dei sedimi aeroportuali, aree interne agli impianti industriali e agli stabilimenti, nonché aree classificate agricole racchiuse in un perimetro i cui punti distino non più di 500 metri dal medesimo impianto o stabilimento, e aree collocate entro 300 metri dalle autostrade».
«Insomma, fuori dal linguaggio leguleio – rimarca l’ex assessore – lo Stato davanti alla necessità di bilanciare il bisogno della produzione di energia da fonti rinnovabili con l’esigenza di tutelare il paesaggio e ridurre quindi l’impatto della nuova politica energetica, ha già previsto che gli impianti a terra possano essere realizzati solo in alcune aree definite idonee, come per esempio, proprio i terreni agricoli vicino alle zone industriali. Le cosiddette “solar belt”. Veniamo a noi e analizziamo ancor più nel dettaglio il caso in argomento. L’impianto fotovoltaico proposto dalla ditta troverebbe collocazione proprio vicino alla zona industriale e alle cave di Monte Urano. L’investimento proposto è di oltre 4 milioni di euro, una cifra considerevole ed è apprezzabile che ci sia qualcuno disponibile ad impiegare capitali privati proprio da noi. L’opera, qualora finalizzata, promette ricadute occupazionali sul territorio con circa 70 unità lavorative potenzialmente coinvolte (anche maestranze locali) che permarrebbero sul posto durante gli svariati mesi necessari per il cantiere, oltre ad alcune figure che rimarrebbero occupate per la manutenzione ordinaria (ed eventualmente straordinaria) per tutto il ciclo di vita stimato in almeno 30 anni. Le maestranze di cui sopra, parteciperebbero a generare un indotto (seppur temporalmente limitato) per le attività di ristorazione, alloggio e di tipo commerciale. Inoltre, l’impianto ha l’ambizione di produrre energia rinnovabile e pulita per 4.876,95 kWp, numero significativo, non certo trascurabile e che contribuirebbe favorevolmente al conseguimento degli obiettivi della politica energetica nazionale. Ancora, a seguito dell’entrata in esercizio dell’impianto fotovoltaico, il Comune di Monte Urano potrà godere di un maggior gettito fiscale derivante dall’Imu che passerebbe dagli attuali 1.000 euro all’anno, data la destinazione agricola, a svariate migliaia di euro (almeno 20.000 euro all’anno, se non molto di più) dovute alla necessaria trasformazione catastale in categoria D1, cioè assimilabile agli opifici; entrate nuove, fresche e assicurate per almeno 30 anni, di cui tutta la cittadinanza potrebbe beneficiare. Infine, dal progetto si evince che sarà necessario realizzare un collegamento interrato con la cabina primaria situata in zona Girola di Fermo, fatto che con una ponderata azione politica potrebbe consentire alle amministrazioni comunali di Fermo e Monte Urano di ottenere dal privato anche il ripristino della sede stradale per una superficie maggiore dello scavo. Insomma, per l’ennesima volta, abbiamo di fronte a noi la possibilità di investimenti infrastrutturali da capitali privati, nel pieno rispetto della legge e delle procedure amministrative. Questi promettono ricadute sicuramente positive per il territorio. Dopo tutte le occasioni respinte, con incapacità di vedere le enormi potenzialità future per lo sviluppo di un Fermano economicamente in declino, anche per assecondare gli istinti campanilistici ed egoisti dei troppi “Nimby de noatri”, che vogliamo fare? Anche stavolta vorremmo bloccare lo sviluppo economico? Ancora una volta le interrogazioni e mozioni consiliari trasversali e fintamente bipartisan, i comitati del No a tutto e le battaglie anacronistiche nelle sedi giudiziarie del Tar o del Consiglio di Stato? Nel prossimo futuro come pensiamo possa crescere l’economia locale? Come intendiamo dare da mangiare ai cittadini fermani? Vogliamo ancora illudere la popolazione che sia possibile sopravvivere soltanto con le sagre e le notti bianche o rosa che siano? Basta! È giunta l’ora di lasciar fare, di togliere gli ostacoli, di rimuovere gli impedimenti: diamo spazio allo sviluppo! Il Fermano lo merita».
Nuovo impianto fotovoltaico, Cesetti dice no: «La Regione deve intervenire»
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