facebook twitter rss

«La vittoria di Trump e la rivoluzione nella dipendenza strategica dell’Europa»

L'ANALISI del prof. Maurizio Petrocchi: «I momenti di grande cambiamento sono anche momenti di grande opportunità. L'Europa può uscire da questa crisi più forte e più coesa, ma solo se saprà trasformare la necessità in virtù. Si possono intravvedere tre fattori che determinerebbero il successo o il fallimento di questa transizione: la velocità con cui l'Europa riuscirà a sviluppare capacità militari indipendenti, la sua capacità di mantenere una visione strategica unitaria tra 27 stati membri, e lo sviluppo di una base industriale della difesa all'altezza delle sfide»

di Maurizio Petrocchi *

L’Europa si trova di fronte ad una sfida che ricorda quelle che ho studiato per anni nelle mie ricerche sulle trasformazioni degli Stati in momenti di crisi. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca nel 2025 non è solo un cambio di amministrazione: rappresenta un potenziale punto di rottura nell’ordine di sicurezza europeo costruito dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Come storico, vedo paralleli allarmanti con altri momenti di grande trasformazione. Le alleanze non si sgretolano all’improvviso: si trasformano gradualmente fino a quando un evento catalizzatore non rivela la loro fragilità. Il ritorno di Trump potrebbe essere proprio questo catalizzatore.

La guerra in Ucraina è il banco di prova immediato. Se Trump dovesse mantenere la promessa di ridurre drasticamente gli aiuti americani, l’Europa si troverebbe di fronte a una scelta drammatica: o sostituire il supporto americano, mettendo sotto enorme pressione le proprie risorse, o accettare una vittoria russa che ridisegnerebbe gli equilibri di potere nel continente.

La mia esperienza nello studio dei conflitti mi suggerisce che non stiamo parlando solo di questioni militari. Quello che è in gioco è la credibilità stessa dell’ordine europeo. Una vittoria russa in Ucraina manderebbe un messaggio chiaro: l’Europa non è in grado di difendere i propri interessi strategici senza gli Stati Uniti.

L’analisi del Rusi e il rapporto Draghi sulla competitività europea dipingono un quadro preoccupante delle capacità europee. Nonostante l’aumento del 60% nella spesa per la difesa dal 2014, persistono debolezze strutturali profonde: sistemi di approvvigionamento frammentati, capacità di trasporto strategico limitate, difesa aerea non integrata, produzione di munizioni insufficiente.

Ma il problema più profondo è culturale. In settant’anni di protezione americana, l’Europa ha sviluppato quello che potremmo chiamare un “riflesso di dipendenza strategica”. Cambiare questa mentalità richiederà più che semplici riforme istituzionali o aumenti di budget: servirà una vera rivoluzione nel pensiero strategico europeo.

Le opzioni sul tavolo sono tre. La prima è tentare di preservare lo status quo aumentando massicciamente i contributi europei alla Nato. La seconda è sviluppare una capacità militare europea veramente indipendente. La terza è negoziare un nuovo tipo di partnership transatlantica, con un ruolo americano ridotto ma ben definito.

La prima opzione appare irrealistica: i numeri semplicemente non tornano. La seconda richiederebbe uno sforzo politico, economico e industriale senza precedenti nella storia dell’Unione Europea. Resta la terza via: difficile, ma forse l’unica praticabile.

C’è anche la questione nucleare, spesso ignorata nel dibattito pubblico. Francia e Regno Unito hanno arsenali nucleari indipendenti, ma una deterrenza nucleare credibile in un’Europa post-americana richiederebbe un ripensamento fondamentale della dottrina strategica europea.

Si possono intravvedere tre fattori che determinerebbero il successo o il fallimento di questa transizione: la velocità con cui l’Europa riuscirà a sviluppare capacità militari indipendenti, la sua capacità di mantenere una visione strategica unitaria tra 27 stati membri, e lo sviluppo di una base industriale della difesa all’altezza delle sfide.

I momenti di grande cambiamento sono anche momenti di grande opportunità. L’Europa può uscire da questa crisi più forte e più coesa, ma solo se saprà trasformare la necessità in virtù. Come diceva Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Unione Europea: “Gli uomini accettano il cambiamento solo nella necessità e vedono la necessità solo nella crisi“.

* docente di storia del giornalismo e media digitali all’università di Macerata, storico ed esperto in conflitti, violenza, politica e terrorismo


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna alla home page


Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati




Gli articoli più letti