di Andrea Braconi
C’è un’espressione che Francesco Lusek utilizza spesso: quel “tempo di pace” che si frappone tra un’emergenza e l’altra. Esperto di protezione civile, il 44enne fermano è al lavoro per definire gli ultimi dettagli di un evento a cui tiene particolarmente: la prima conferenza del progetto S.I.S.Ma. acronimo di Supporto Integrato ai Soccorsi tra le Macerie, in programma sabato 30 novembre alle ore 9:30 all’interno del Palazzo dei Capitani del Popolo di Ascoli Piceno. (LEGGI L’ARTICOLO)
Lusek, pensando alla sequenza di eventi recenti che hanno devastato l’Emilia Romagna e altre zone del nostro Paese possiamo dire che i “tempi di pace” si sono accorciati parecchio, costringendo il sistema dei soccorsi a rimettersi in discussione.
“Se facciamo un parallelismo con lo sport, il tempo di pace è la fase dell’allenamento, dove si individuano le criticità del sistema e si cerca di correggerle, dove ci si confronta, dove si analizza il lavoro fatto soprattutto in emergenza, dove ci si informa, ci si forma e ci si aggiorna.”
E come ci si allena?
“Ci si allena con iniziative a carattere formativo calibrate alla categoria professionale che andiamo ad addestrare. Per gli enti locali c’è un tipo di attività formativa, per chi soccorre ce n’è un’altra più pratica ed un addestramento periodico, compreso l’utilizzo delle attrezzature. Perché non basta fare un corso ed avere un attestato. Se certi strumenti non si utilizzano o quella procedura non viene applicata per un anno o due, considerando che ogni emergenza è diversa dall’altra, anche i migliori possono arrivare ad sbagliare.”
Poi c’è il cosiddetto lavoro di squadra.
“Se non sei abituato a lavorare insieme agli altri, a figure ed enti di diversa natura, quando si è di fronte ad un emergenza possono crearsi problemi seri. C’è da fare un grande lavoro di consapevolezza e di amalgama, un concetto necessario anche da noi considerate le diverse esperienze, attrezzature ed altro che vengono a contatto, magari per la prima volta.”
Nascita e rafforzamento delle relazioni tra i vari soggetti coinvolti restano due priorità. Ma qual è la metodologia necessaria per sviluppare questo specifico ambito?
“Gli organi che fanno coordinamento, come Regioni, Prefetture, Dipartimento di Protezione Civile e anche Comuni di solito si muovono con riunioni di confronto in relazione alle varie tematiche da affrontare. Poi ci sono iniziative come quella di sabato ad Ascoli Piceno, convegni dove si presentano i risultati di alcuni progetti, si recepiscono le istanze del territorio e del sistema. Infine, ci sono le attività formative che sono sempre più necessarie e sono suddivise in corsi su una preparazione teorica, sul mantenimento delle competenze e su simulazioni insieme alle forze di altri enti e di altre organizzazioni.”
Rispetto al convegno di Ascoli, portiamo un solo dato che vi ha soddisfatto in maniera significativa.
“S.I.S.Ma. ha due obiettivi. Da un lato fare una formazione a carattere innovativo, basata sull’esperienza e sulla praticità, mentre la seconda finalità è il potenziamento della rete dell’emergenza attraverso la donazione di attrezzature e la sperimentazione di squadre di intervento diverse. Questi modelli sperimentati, poi, li proponiamo agli organi competenti. Abbiamo fatto anche un corso di formazione sulla comunicazione in emergenza, che ha avuto un ottimo riscontro.
Sicuramente, alla luce di tutto questo un dato forte sono i 150 soccorritori che abbiamo raggiunto con i nostri corsi di formazione in 2 anni.”
Una lunghissima esperienza, la tua, segnata da 30 anni di attività. Qual è stato il momento più bello e quello più drammatico, che ti ha segnato maggiormente?
“Gli errori sono tanti ma anche le soddisfazioni sono tante. Intanto diciamo che presentare un progetto sperimentale nel quale sono riuscito a mettere insieme un gruppo di lavoro è sicuramente un successo. Voglio anche sottolineare che S.I.S.Ma. è partito da una sinergia forte tra piceni e fermani, che lavorano da anni bene insieme in barba ad ogni sorta di campanilismo. C’è rispetto reciproco e c’è una visione di territorio, senza confini.
Se parliamo di un singolo episodio, mi viene in mente l’Ucraina dove siamo stati ad addestrare i soccorritori locali su ciò che abbiamo appreso durante i terremoti in Italia in tema di soccorso sotto macerie. In uno scenario con un’attenzione mediatica pazzesca e con un rischio molto elevato, fare questo tipo di attività ci ha regalato emozioni indelebili. C’era stato evidenziato un bisogno di rafforzare la loro capacità di intervento sugli edifici bombardati ed andare lì, vedere questi ragazzi toccati concretamente dalla guerra, vederli concentrati a recepire ciò che noi avevamo da dire e capire come far funzionare le attrezzature che avevamo donato, ci ha fatto capire di poter fare la differenza. E vivevamo anche un’incredibile contrapposizione: contrastare la guerra con strumenti salva vita.
A livello umano, da soccorritore più giovane voglio ricordare l’intervento in occasione di un evento tragico, che ha visto la morte di una persona cara. Lì ho vissuto il senso di impotenza più grande in questo percorso lungo 30 anni, a dimostrazione anche di un carico emotivo che ci portiamo dietro e che va oltre riconoscimenti e convegni. Ma quel dramma ha condizionato il mio attivismo, dandomi quell’energia che ancora oggi mi fa andare avanti e mi spinge a guardare sempre oltre.”
“Supporto Integrato ai Soccorsi tra le Macerie”: sabato la presentazione dei risultati del progetto
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