di Maurizio Petrocchi *
Nel panorama geopolitico del 2025 lo scontro per la salvaguardia della democrazia assume i tratti di un conflitto asimmetrico di nuova generazione in cui il bene più prezioso – l’informazione – diventa bersaglio e arma al contempo. Nelle nostre vite quotidiane in cui ci affidiamo alla tecnologia per restare connessi e informati la post-verità e l’Intelligenza Artificiale si mescolano, creando un ambiente ostile che minaccia direttamente la stabilità e la fiducia collettiva nelle istituzioni. La convergenza tra tecnologie avanzate e warfare informativo ha portato alla nascita di contesti in cui la realtà stessa può essere manipolata con estrema facilità. Basta un deepfake ben congegnato o una campagna di disinformazione mirata, perché un’intera popolazione venga esposta a messaggi ingannevoli, minando la coesione sociale alla base delle democrazie occidentali. Questi strumenti agiscono come vere e proprie “armi di precisione” del pensiero, colpendo le vulnerabilità cognitive di ognuno di noi con una rapidità che sconcerta tanto i singoli cittadini quanto gli analisti specializzati.
Le operazioni di disinformazione si configurano sempre più come una forma evoluta di guerra psicologica. Attraverso l’uso di algoritmi e tecniche di profilazione i messaggi vengono indirizzati alle persone più suscettibili, amplificando le divisioni esistenti e seminando sfiducia nei confronti delle autorità. In tal senso gli esempi recenti di influenza russa nelle elezioni presidenziali in Romania e in Moldavia, così come nel referendum moldavo sull’integrazione europea, confermano la facilità con cui attori esterni possano interferire in modo capillare nel dibattito pubblico. Analoghe preoccupazioni emergono in Georgia, dove le ultime tornate elettorali sono state segnate da accuse di brogli e da sospetti di ingerenze straniere, a riprova di come il soft power di stati terzi, se corredato di tecnologie all’avanguardia, possa trasformarsi in un vero e proprio hard power sul piano cognitivo. Tale scenario è reso ancora più critico dall’architettura dei social media, che funge da piattaforma operativa ideale per le reti di disinformazione. Queste si avvalgono di strutture decentrate e altamente adattive, rendendo difficoltosa l’identificazione degli attori ostili. Alcuni di essi operano in maniera clandestina, celandosi dietro account fasulli o bot automatizzati; altri, invece, si muovono a viso scoperto, appellandosi alle libertà di espressione per veicolare narrazioni distorte.
I confini tra aggressori statuali e gruppi non governativi si fanno sempre più sfumati, poiché entrambi sfruttano con arguzia le caratteristiche fluide e globali dello spazio informativo contemporaneo. La reazione a questa minaccia richiede un ripensamento radicale della tutela alla sicurezza nazionale. Non basta più pensare alla difesa dei confini fisici, serve un impegno costante nella protezione del dominio informativo, che comprenda sistemi di rilevamento e neutralizzazione della disinformazione, ma anche azioni di educazione e sensibilizzazione capillari. Ogni cittadino, in effetti, diventa un potenziale “guardiano” della democrazia, chiamato a sviluppare spirito critico e competenze digitali per smascherare narrazioni fuorvianti. L’educazione digitale, in tal senso, rappresenta la prima linea di difesa per una società coesa e matura. Le persone, formate a riconoscere le fonti attendibili e le tecniche di manipolazione cognitiva, possono sviluppare un atteggiamento più consapevole verso la molteplicità di voci e informazioni che circolano in rete. Parallelamente le istituzioni democratiche debbono impegnarsi ad aumentare la propria trasparenza, così da rinsaldare quel patto di fiducia che le lega ai cittadini, una fiducia che in un contesto così volatile può rivelarsi fragile. Sul piano internazionale, la sfida appare ancor più complessa, nessuno Stato può affrontare da solo un fenomeno che si nutre delle potenzialità di una Rete globale.
Le tecniche di manipolazione informativa non smettono di progredire e, di conseguenza, anche gli strumenti di contrasto richiedono un aggiornamento continuo. Se la posta in gioco è la sopravvivenza del modello democratico nell’era digitale, appare evidente che la risposta dovrà essere tanto rapida quanto lungimirante, in un equilibrio sottile fra libertà individuale e sicurezza collettiva. Le democrazie, insomma, non possono permettersi di abbassare la guardia devono rafforzare le proprie strutture, alimentare la consapevolezza dei cittadini e collaborare oltre ogni confine, per garantire che il confronto politico resti autentico e la libertà di pensiero non sia svuotata dall’inganno sistematico.
* docente di storia del giornalismo e media digitali all’università di Macerata, storico ed esperto in conflitti, violenza, politica e terrorismo
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