“C’era una volta…” Il fascino del ricordo nell’analisi di Giuseppe Fedeli

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

Perché amiamo crogiolarci nel “c’era una volta…”? Perché il ricordo del passato, pur venato di malinconia, ha come l’effetto di riportarlo in vita, ancor più fulgido di quando accadeva? Forse per una innata paura di ripetere un’esperienza, che ha attinto l’assoluto, la felicità. Parola “impronunciabile” per noi terrestri. Altrimenti non si spiegherebbe. Rammento una frase di George Bernard Show: “e ora che siamo felici, che faremo?“. Il c’era una volta viene trasposto in una dimensione mitopoietica. È già accaduto, potrebbe accadere di nuovo: un Eden di cui non abbiamo mai disperato. Questa potrebbe essere una seconda lettura, il rifugiarsi catartico in una plaga immune dalle doglie del mondo. L’unità atemporale della vita, che ormai è passata. Fa molto più paura il sentire (qui e ora), che non la decantazione del ricordo. Ovvero della sua essenza. C’era una volta riporta anche alle favole, che hanno sempre un lieto fine. C’era una volta, e io c’ero. Adesso non ci sono più, in quella età senza tempo, e mi riparo dalla sua luce acciecante: che posso sopportare solo attraverso il velo dei miei anni.

* giudice 


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