«Abbiamo tutti salutato con favore l’estensione della Zes alle Marche per affrontare la evidente crisi economico e sociale del territorio, ma per individuare gli interventi appropriati occorre aprire una riflessione sulle cause che hanno visto una regione, portata come esempio virtuoso in Italia negli anni 70/80/90, alla situazione odierna. È possibile individuare una causa legata al contesto internazionale ed un’altra alle caratteristiche di una cultura imprenditoriale e sociale locale».
Inizia così la riflessione a tutto campo di Massimo Valentini, presidente della Fondazione San Giacomo della Marca, che poi passa ai dettagli.
«In primo luogo, anche le Marche sono state investite dalle conseguenze di un neoliberismo che negli ultimi decenni ha permesso l’affermarsi del capitalismo finanziario e della connessa globalizzazione. La concentrazione della ricchezza ha raggiunto livelli estremi con gravi conseguenze economiche create da una crisi della domanda, da una stagnazione economica affrontata con la politica monetaria che spesso ha finito per sostenere la speculazione finanziaria a svantaggio dell’economia reale, dei luoghi della produzione e del lavoro. Questo processo ha concentrato potere e ricchezza in pochi gruppi economici che hanno condizionato pesantemente anche gli Stati nazionali, sempre più impossibilitati a gestire autonomamente le proprie politiche. Il grande disagio provocato si è manifestato in primo luogo nella crisi dei sistemi economici locali basati sulla manifattura e come conseguenza ultima in una progressiva massiccia fuga dai luoghi della politica rappresentativa, tanto che ormai è diffuso in Europa che voti meno della metà degli aventi diritto. Di fronte a questo strutturale cambiamento di scenario si è osservata a livello locale la difficoltà di una diffusa cultura imprenditoriale e sociale poco propensa al cambiamento e all’innovazione, sempre più alla ricerca di sostegni assistenzialistici, incapace di confrontarsi con i repentini cambiamenti di contesto. In questo scenario si spiega il crescente consenso in Europa dato ai partiti sovranisti dalla minoranza che ancora partecipa alla vita politica dei Paesi. I partiti sovranisti in genere – l’analisi del presidente Valentini – sono centrati sulla figura del leader, sulla rivalutazione del ruolo dello Stato e sulla necessità di dare più centralità al potere esecutivo. Occorre altresì riconoscere che la globalizzazione ha creato una interdipendenza strutturale nel mondo che lascia spazi esigui a singoli interventi della nazione che necessariamente deve trovare forme di cooperazione con altri Stati. Il recupero del ruolo dello Stato appare innegabilmente necessario, ma occorre chiedersi come realizzarlo partendo da ciò che insegna l’esperienza storica. Il neoliberismo ha potuto in passato affermarsi per il fallimento di uno statalismo che ha limitato libertà e sviluppo. In Italia lo statalismo nei decenni scorsi è stato temperato da forme di consociativismo fondato sulla concertazione. Anche tale modello è fallito in quanto ha favorito una autoreferenzialità della politica e degli enti che dovevano essere di rappresentanza, un crescente distacco tra la classe politica e i cittadini, tra organi di rappresentanza e società civile, innescando una gestione della spesa pubblica inefficiente in quanto doveva garantire posizioni di rendita. Ora come poter avere più Società e più Stato senza ripetere gli errori del passato? È adeguato un modello fondato sulla figura del leader, su una crescente centralità del Potere esecutivo, sulla sola razionalizzazione della forma consociativa, sull’alimentare un datato scontro ideologico per gestire il consenso? Per la complessità delle problematiche tale approccio non appare adeguato e richiede una nuova responsabilità da parte di tutte le componenti di un Paese. In primo luogo, occorre un cambiamento delle imprese e delle comunità locali che, seguendo chi già lo sta facendo, accettino la sfida di un cambiamento radicale basato sulla propensione all’innovazione continua e alla collaborazione, sulla ricerca di un merito e non di un’assistenza. Il tema dell’Amministrazione Condivisa attraverso le forme di co-programmazione, co-progettazione e partecipazione tracciano una nuova strada traducendo operativamente il principio del “Più Stato-Più Società” che appare la modalità più idonea per affrontare la grande complessità che il Paese sta attraversando. Appare più adeguata perché la partecipazione delle comunità locali permette di avere una conoscenza reale delle situazioni, fa emergere nel dialogo le soluzioni migliori garantendo trasparenza e condivisione. «Per affrontare queste sfide occorre che anche la politica accetti di cambiare, uscendo dal mondo virtuale in cui spesso si confina, abbandonando quell’autoreferenzialità mortale che nuoce, accettando il metodo dell’Amministrazione Condivisa e promuovendo un sostegno selettivo a chi ha intrapreso la strada dell’innovazione. Chi saprà accettare questa sfida? La Marche ne hanno urgente bisogno».
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