Dove i borghi diventano palcoscenici e le grandi storie si intrecciano con la vita quotidiana, va in scena il Festival Storie, che per questa tappa a Falerone porterà sul palco del Teatro Beato Pellegrino, Gianmarco Tognazzi in “Paul McCartney e i Beatles”, domani 28 novembre, ore 21.30. Un appuntamento che segna un traguardo straordinario per il Teatro del Beato Pellegrino, riaperto dopo 40 anni e già capace di registrare un risultato eccezionale: biglietti in prevendita esauriti e sold out annunciato, a testimonianza del grande entusiasmo del pubblico e del successo della programmazione firmata da Saverio Marconi e Manu Latini per il Festival Storie.
Un ritorno alla luce per uno spazio culturale storico, che torna a risplendere accogliendo un evento di grande prestigio e un protagonista di caratura nazionale, volto amatissimo del cinema e del teatro italiano.
Lo spettacolo è un viaggio intenso tra musica e memoria, tra mito ed emozione, in cui la voce di Tognazzi si fonde con le note raffinate del Trio Mercadante (Rocco Debernardis al clarinetto, Leo Binetti al pianoforte, Francesco Tizianel alla chitarra), per restituire al pubblico la leggenda dei Fab Four, il gruppo che ha cambiato per sempre la storia della musica, e la poesia intramontabile di Paul McCartney.
Figlio del grande Ugo Tognazzi, maestro di ironia e umanità, Gianmarco ha raccolto e reinventato quell’eredità artistica, costruendo un percorso personale fatto di ricerca e profondità interpretativa. Attore eclettico, volto amatissimo del cinema, del teatro e della televisione, ha lavorato con registi come Gabriele Salvatores, Francesca Archibugi e Giovanni Veronesi, passando con naturalezza dal dramma alla commedia, dal palcoscenico al set.
Tognazzi, nella sua carriera ha spaziato tra cinema, teatro, televisione, generi e registri diversi. Cosa la spinge a cercare qualcosa di nuovo come il viaggio dentro Paul McCartney?
«L’idea nasce da Rocco Debernardis, direttore dell’orchestra Saverio Mercadante, che aveva in mente questa lettura. Doveva essere una data unica, ma poi abbiamo deciso di proseguire: siamo arrivati a quasi quaranta repliche in un anno. Oggi la prosa è difficile da veicolare, ma quando c’è comunione di intenti e si crede in ciò che si fa, le cose funzionano. Raccontare in prima persona Paul McCartney e la nascita dei Beatles significa riscoprire il valore della musica, il loro legame umano e artistico».
Non solo una narrazione ma anche musica?
«Si, non faremo delle semplici cover: proporremo i brani in versione sinfonica e acustica, per far percepire quanto le melodie dei Beatles, i veri sdoganatori del rock’n’roll, siano immortali. È un percorso originale, ricco di aneddoti, che diventa una riscoperta per chi li ha vissuti e una scoperta per chi li conosce solo di nome. Senti di raccontare qualcosa che ha cambiato per sempre la musica mondiale».
I Beatles lei li racconta oggi, in un tempo molto diverso. Cosa resta del loro messaggio?
«Resta tutto, basta conoscere e capire gli snodi del secolo scorso dal punto di vista musicale. I Beatles sono stati protagonisti di un’epoca di grande cambiamento sociale: gli anni Sessanta. Conoscere quel periodo serve a riscoprire il passato, fotografare il presente e immaginare il futuro.
È come quando i giovani parlano della “supercazzola” senza sapere che nasce da Amici miei, interpretato da mio padre: anche quello è un pezzo di memoria culturale».
Tutti, o quasi, abbiamo una canzone dei Beatles che ci è rimasta cucita addosso. Qual è la sua?
«Ricordo che la prima che ascoltai, da ragazzino, fu Love Me Do. Canzone semplice ma travolgente, che mi spinse poi a conoscere tutta la loro produzione musicale. Li ho intercettati alla fine del loro percorso, ma li ho vissuti intensamente».
Ha mai visto Paul McCartney dal vivo?
«Sì, ho avuto la fortuna di assistere a un suo concerto al Colosseo. Fu una serata strepitosa, indimenticabile».
Se un ventenne le chiedesse, parafrasando gli Stadio, “Ma chi erano mai questi Beatles”?
«Sono quelli che, insieme ad altri grandi, hanno cambiato per sempre il corso della musica moderna».
Il Festival Storie celebra l’arte e la cultura nei borghi marchigiani. Ha un legame particolare con questa regione?
«Sì, avevamo una casa a Macerata. Ho lavorato con Saverio Marconi in A qualcuno piace caldo, e passai due mesi a Tolentino alla fine degli anni ’90. Ho girato film come Niente può fermarci e portato diversi spettacoli teatrali in tanti teatri marchigiani. Mi sono sempre trovato benissimo: conservo un rapporto di grande affetto e amicizia con molte persone, quindi è sempre un piacere tornare».
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