di Cesanelli Oberdan
La “Japonesa”. Cominciamo dalle imprecazioni di Piermassimo sulla “Japonesa”, che non è una gentile ragazza orientale, ma una strada che un tempo forse poteva definirsi così: 80 km nel nulla, con strani uccelli col ciuffo in testa che ti attraversano la strada, buche, sterrato, e segnale telefonico a zero. Le imprecazioni di Pierma sono verso di noi che abbiamo preferito seguire le indicazioni di Tom Tom piuttosto che quelle di Hugo.
Terminata la terribile ma affascinante traversata, e dopo più di 500 km, siamo a Villa Regina. Villa Regina è stata fondata poco più di 90 anni fa da una società italoargentina che prometteva agli immigrati italiani 5 ettari di terra. Cinque ettari, mica chiacchiere. La città era stata disegnata a tavolino dall’ingegner Cipolletti e in molti dalle Marche accorsero. 5 ettari. Arrivati qui, possiamo solo immaginare dopo quale avventuroso viaggio (1.100 km da Buenos Aires, nel 1920…), avevano I loro 5 ettari. Di deserto. Deserto, senza piante, senza nulla. Tornare indietro? Impossibile. Rimboccarsi le maniche e trasformare il deserto? Non c’era altra scelta.
E così fecero.
Due giorni belli, con Walter Ventura, Martin Vesprini e Rodolfo “Nito” Veronesi, che ci hanno raccontato le storie di marchigiani e trentini fondatori della città.
Nito è il presidente del Circolo Trentino, dove abbiamo fatto l’applauditissimo spettacolo, è un uomo pieno di energia e viene spesso in Italia, Walter era fino a poco fa assessore alla cultura e Martin ha origini di Monte San Pietrangeli e di Ponzano.
Con Nito sono stato in una radio locale per parlare del nostro progetto e mi ha consegnato una lista di marchigiani e dei loro paesi di provenienza. Monte Urano, Monte San Pietrangeli, Sant’Elpidio.
A Fermo oggi vive Rosy Canigola, nata proprio a Villa Regina.
Qui si coltivano mele e marchigiani e trentini sono maestri nella produzione e nel commercio.
L’accoglienza che queste persone ci riservano è difficilmente descrivibile. Il loro legame con noi che rappresentiamo la terra dei loro nonni o bisnonni, è fortissimo, commovente.
Ce ne sarebbe da raccontare, ma non sarebbe più una pillola…
E San Martin de Los Andes ci aspetta, partenza lunedì ore 9, orario argentino.
E chiudo con le parole di Walter che dice che qui, nella città più italiana della Patagonia, tutto è italiano e niente è italiano.
Buena onda!
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