di Andrea Braconi
Dice che vuole scrivere una poesia partendo da quella frase, “Prima gli italiani”, che nel tempo si è fatta slogan politico. “Prima gli italiani che possono andare in Cina e in Russia a vendere le scarpe, a prendere l’oro in Africa, il litio in Cile. E voi zitti, non rompete le scatole”. Anche nella sessione di chiusura della XXV edizione di Redattore Sociale, come nel suo stile, Don Vinicio Albanesi gioca sulla provocazione per stimolare un dibattito con i tanti giornalisti provenienti da varie parti d’Italia e soprattutto con il suo ospite Ferruccio De Bortoli. L’ex direttore del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore, infatti, torna a Capodarco per chiudere una XXV edizione segnata dal tema “Guerra e Pace”, dove la crisi globale è stata sviscerata in ogni sua dimensione, persino quella che attanaglia il Cattolicesimo.
Crisi dalle molteplici sfaccettature, quindi, che Don Vinicio racchiude in tre elementi. “Il primo un Io ipertrofico, diventato il criterio con cui si spiegano anche le collere, l’odio e il rancore. Il secondo elemento è la materialità: pensiamo che solo per il Black Friday abbiamo speso 2 miliardi. Una montagna di plastica, con camionisti che viaggiano la domenica notte per portarti il tuo pacco il lunedì mattina. E poi proprio tu lacrimi prima gli italiani? Ma di cosa parli! Abbiamo materializzato tutto! C’è il terzo elemento, che è quello della globalità: io posso andare dove voglio, in Brasile o in Thailandia, magari a sfruttare i minori, poi però mi lamento se quello dell’Africa viene qui”.
E dentro un incontro definito “libero e sincero, che però vuole andare in profondità sul tema di questa edizione”, risuona la voce (e la capacità oratoria) di De Bortoli. “In questa nostra società c’è un eccesso di individualismo e conta sempre meno la famiglia. Fatichiamo ad avere soggetti collettivi e corpi intermedi che avevano assicurato una sufficiente selezione della classe dirigente, soggetti che hanno avuto un’estrema importanza non soltanto nella crescita economica del nostro Paese, ma che con la digitalizzazione hanno perso il loro ruolo”.
Accanto ad una politica fatta di leadership personali, emerge uno Stato che nella globalizzazione è diventato sempre meno rilevante, per rilanciarsi oggi con altre e preoccupanti caratteristiche. Globalizzazione che, per De Bortoli, non ha premiato le democrazie che sono diventate la parte più debole di questo processo. “Ci siamo illusi che potesse essere gestita ed evolversi sulla base delle regole dei Paesi occidentali, mentre invece abbiamo visto la loro crisi e la crescita di autocrazie, come con Putin e Orban. La globalizzazione ha indotto una forma di isolamento soprattutto dei cittadini e dei ceti medi delle società delle democrazie occidentali, che si sono sentiti spossessati. Ha portato ad una forma di paura, di rifiuto, ed alla constatazione che il nostro futuro non è nelle nostre mani. E questo si nota nella trasformazione quasi genetica del diritto di voto: si vota molto di più per contrasto e negazione”.
C’è poi l’aspetto imprescindibile della rete, dove si ha sempre di più la sensazione di bastare a se stessi. “Pensiamo di essere testimoni in diretta degli avvenimenti perché sono davanti ai nostri occhi e, quindi, non abbiamo bisogno di spiegazioni; pensiamo di sapere tutto, anche se gli elementi determinati non sono presenti sulla scena. Ma non basta essere testimoni – ha ammonito -, bisogna conoscere l’antefatto e la storia dei protagonisti. Altrimenti diventa una verità collettiva che crea una sorta di opinione comune, perché si è tratto da quell’avvenimento una sensazione che si condivide con gli altri, anche se del tutto falsa e senza fondamento. E purtroppo è molto facile che il verosimile possa essere scambiato e diventi materiale corrente: quello che è falso oggi potrebbe diventare vero domani”.
Un atteggiamento individualista (anche) nell’informarsi, che necessita di un’autentica presa di coscienza, a partire dal tema fondamentale dell’ecologia della rete, delle regole e della salvaguardia del pensiero del cittadino. “Altrimenti questo rischia di trasformarsi in suddito di qualcuno, perché magari si è regalato i propri dati a qualcuno, o naufrago senza il senso della propria società. Si può creare una forma di onnipotenza digitale, un’esaltazione dell’Io anche nella sua ignoranza. Bastando a te stesso e alimentandoti con odio, sospetti e inclinazioni il tuo pensiero critico degrada e ti trovi nella condizione di avere dei bersagli. La comunicazione si semplifica ed è molto più facile individuare un responsabile, si trovano anche degli straordinari alibi personali”.
Un’informazione che nello spazio digitale “dispensa alibi alla pigrizia e all’accidia in maniera straordinaria”. “Io non posso mai essere messo in discussione – ha aggiunto – ma metto in discussione tutti gli altri. Abbiamo ceduto sul tema dei diritti e ci siamo dimenticati del corrispettivo dei doveri. Un esempio: il voto è un diritto ma è anche soprattutto un dovere, l’astensione perciò è il venire meno ad un dovere del cittadino nel fare una scelta che richiede fatica, nel leggere, nell’informarsi e nel partecipare”.
Sul fronte economico, riprendendo un passaggio di Don Vinicio, il riferimento primario è quello degli acquisti online, che hanno sì facilitato l’accesso anche a prezzi più bassi ma distruggendo il commercio e alimentando dei grandi gruppi mondiali. “Nell’ambito del Black Friday per Amazon e Alibaba si parla di cifre assolutamente incredibili. Ma così facendo si sta desertificando il commercio mondiale, con la cancellazione di tantissimi posti di lavoro. Più che ad una materialità ci troviamo di fronte ad una totale e progressiva smaterializzazione dell’economia”.
De Bortoli si pone anche il problema della virtualità: cosa è virtuale e cosa è reale? cosa produce effetti reali e cosa avviene solo sulla ecosfera? Lo fa prendendo come esempio la gestione dei dati personali, il riconoscimento facciale, l’utilizzo di oggetti intelligenti che diventano spie quotidiane. “Le nostre vite non sono mai state così tracciate. Ma fino a che punto si difendono i diritti dell’individuo e si possono condizionare non solo le scelte di consumo ma anche quelle più intime e personali, come il voto? Twitter ha deciso di non accettare più la propaganda politica sulla propria piattaforma. Google ha fatto una scelta leggermente diversa: sì fatela, ma non attraverso il cosiddetto micro targeting. Facebook non ha fatto ancora nulla, però Zuckerberg ha detto ‘dateci delle regole’ e qualcosa potrebbe accadere da qui all’inizio della campagna elettorale per elezioni del presidente degli Stati Uniti. Da parte nostra, cominciamo a pensare che i nostri dati personali in rete non abbiano una loro materialità”.
E si arriva alla libertà di movimento delle persone. “Non credo potremo mai tornare indietro e ritengo che abbiamo tutto da guadagnare nello scambio con gli altri. Certamente si ha bisogno di un’immigrazione ordinata. Torno al ‘Prima gli italiani’, ma se guardate l’andamento demografico gli italiani spariscono da soli: abbiamo tasso di natalità di 1,3 figli per donna quando invece dovremmo essere intorno al 2,2, tasso quest’ultimo che mantiene solo la Francia. La globalizzazione va governata, bisogna capirne in profondità i meccanismi: chiudersi non ha alcun senso, sarebbe solo l’accettazione di un declino. E nell’ordinare questa globalizzazione sarà estremamente importante far sì che le comunità possano essere anche la stanza di compensazione di tutta una serie di odi, rancori e pregiudizi”.
Don Vinicio introduce una seconda domanda, legata alle soluzioni per non isolare il nostro Paese. “Ho la sensazione che essendo il nostro un terreno inquinato è vero che ci sono piccoli e grandi spazi dove questo inquinamento non è arrivato (volontariato, comunità che accolgono, giusta amministrazione), ma penso che se non arriverà un grande evento la tendenza non si riuscirà a vincere”.
Affermazione che detta da un prete “è una cosa brutta”, ma con lo stesso Don Vinicio che indica una via di uscita: il capitolo 5 del vangelo di Matteo, che inizia con le Beatitudini. “Lì ci sono una serie di indicazioni che sono il gancio da cui ripartire: siate umili, miti, consolatori, giusti, misericordiosi, sinceri, pacifici e fedeli. Non è una filosofia religiosa ma umana, di una profonda umanità. E il Cristianesimo è una delle filosofie e delle intuizioni migliori nel rispetto dell’umano e della comunità”.
“Nelle Beatitudini si perdona un po’ tutto – scherza De Bortoli -, c’è una sorta di condono o di sanatoria. Certo, queste già bastano, sono le virtù che dovrebbero essere di una buona cittadinanza e che si riscoprono specialmente nelle emergenze, quando si è in difficoltà. Perché noi nell’emergenza siamo bravissimi. Io continuo a sperare che ci possa essere una sorta di riscossa civica, non tanto nell’emergenza. Sicuramente i cambi di paradigma sono avvenuti di fronte a grandi stravolgimenti e oggi noi viviamo in una costante emergenza climatica. Il cambiamento ci porta davanti ad emergenze naturali costanti e quindi ci siamo già dentro. Il problema è: ce ne rendiamo conto o no? esiste una consapevolezza, una maturità nel Paese che si pone il problema di come costruire il futuro?”.
L’emergenza c’è già, per De Bortoli, che ricorda come l’Italia sul versante dei laureati abbiamo perso negli ultimi 10 anni qualcosa come gli abitanti della Valle d’Aosta. “Pensiamo ad un’ideale barca con dentro questi giovani: avremmo discusso per mesi e mesi dell’emigrazione dei nostri giovani e meno delle presunte emergenze di invasioni di immigrati. Ma che futuro ha un Paese che ha un risparmio elevato che però non si traduce in investimenti per il futuro?”.
Altro passaggio cruciale: la memoria. “Non penso ci sia il pericolo di un ritorno a fascismo e nazismo, ma c’è il pericolo di perdere la memoria di quello che è stato. E forse c’è anche un tema di memoria di quello che eravamo soltanto 40-50 anni fa, con i nostri genitori che avevano un rapporto con la materia diverso dal nostro. L’Italia è stata ricostruita con le ferite visibili della guerra, anche nei corpi e nei lutti familiari. Perciò la memoria è fondamentale, probabilmente con essa reagiremmo in maniera diversa e con un maggiore senso di responsabilità nei confronti delle generazioni, garantendo loro un futuro diverso”.
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