“Leggiamo che il Comitato 5 luglio chiede le dimissioni di Andrea Morroni a seguito di una foto che sarebbe apparsa su un social network, foto poi rimossa. Il medesimo comitato domanda, inoltre, al sindaco Paolo Calcinaro e al Renzo Interlenghi di prendere le distanze dall’accaduto. La risposta che viene fornita è congiunta, perché è arrivato il momento che la città di Fermo faccia, sulla triste vicenda, un passo avanti”. E’ la replica, a doppia firma, del sindaco Paolo Calcinaro e del suo competitor alle ultime elezioni comunali, oggi consigliere Renzo Interlenghi, alle critiche mosse questa mattina dal Comitato 5 Luglio, appunto. Pomo della discordia una foto, con commenti annessi, dell’eletto consigliere Andrea Morroni con Amedeo Mancini. Già sulla vicenda, sempre questa mattina, lo stesso Morroni ha avuto modo di dire la sua rispedendo al mittente qualsiasi accusa di razzismo e raccontando che Mancini è cliente del suo studio professionale. E ora tocca a Calcinaro e Interlenghi, anche loro chiamati in causa dal comitato.
“Purtroppo, Fermo ha annoverato anche un altro gravissimo episodio di sangue che ha avuto come vittime innocenti due ragazzi di origine kosovara. Quello fu un gesto di assoluta volontarietà e non è stato giudicato per il gesto estremo posto in essere dall’indagato. L’altro, non meno grave, è stato giudicato dalla magistratura e nessuno può ergersi a giudice morale di un accadimento che tutta la città ha stigmatizzato.
Le vittime tutte si ricordano, ma i lutti debbono essere elaborati e superati; chi sta scontando o ha scontato il proprio debito con la società ha il diritto di essere reinserito, aiutandolo a comprendere il disvalore del fatto commesso. Non sempre accade ma, un popolo civile, a questo deve tendere.
L’invito, chiaro e unitario, al consigliere Morroni è quello di esserci, rimanere. Perché è una vera esagerazione quello che abbiamo letto, non solo nei nostri confronti ma anche verso una persona che, peraltro, ha sempre profuso energie per il sociale. Perché nessuno qui può erigersi a paladino, giudice supremo, anche al di sopra del corso della giustizia, anche al di sopra del dettato della nostra costituzione.
Si, perché nella nostra città c’è stato un fatto di sangue, un delitto per cui la comunità ha espresso cordoglio dolore e condanna, per cui la giustizia ha da prima qualificato una aggravante come quella della finalità razzista e successivamente indicato una quantificazione della pena e una modalità del suo svolgimento, non meramente carcerario o detentivo ma con un percorso rieducativo esterno. Come vuole la nostra Costituzione quando all’art. 27 co. 3 stabilisce che ‘le pene devono tendere alla rieducazione del condannato‘.
Ed una persona, condannata per un fatto esecrabile, che ha condotto il suo cammino voluto dalla giustizia, che ha quindi scontato la sua pena, non può essere ‘marchiata a vita’: è una persona, che ha sbagliato ed ha pagato ma è una persona. E questo, chi fa della lotta all’intolleranza la propria più che legittima bandiera, lo deve sempre ricordare. E tenerlo bene a mente anche in futuro. Noi, pur divisi da vari aspetti nella recente campagna elettorale, rimaniamo lontani anni luce da questa eterna strumentalizzazione di un drammatico episodio, ma rimaniamo vicini ai valori della Costituzione che ci indica, e lo indica a tutti quanti, il diritto ad un reinserimento nella società, il diritto di non avere un marchio a vita sulla propria persona”.
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