Il caso “Rifugio Rubbiano” e il fallimento della politica

IL PUNTO - Quando la burocrazia non riesce ad essere superata, gli effetti sono sempre deleteri. A rimetterci non sono solo i diretti interessati ma un territorio e la sua immagine. Manca la politica del fare o manca la volontà?

 

di Nunzia Eleuteri

Ha colpito molto la storia di Katia Cesari e del “Rifugio Rubbiano” raccontata da Cronache Fermane, tanto da aver raggiunto migliaia di persone che hanno poi scritto moltissimi commenti di solidarietà all’interessata sui social network.

Il rifugio sui Sibillini, che per lei rappresentava il lavoro ed un sogno in cui aveva investito tempo e denaro per una riqualificazione post sisma che era sotto gli occhi di tutti, le è stato tolto. Più esattamente è stato risolto dal Comune il contratto di locazione per “grave inadempienza”.

Non entriamo nel merito della questione (per chi volesse farlo, sono riportati gli articoli a fondo testo) ma fare una riflessione perché non si verifichino ancora situazioni così tristi, evitabili e deleterie per tutti, tanto per i diretti interessati quanto per gli utenti che non possono usufruire di un servizio che stava funzionando benissimo. Moltissimi, infatti, sono stati gli attestati di stima che la locataria ha ricevuto per come stesse gestendo quel rifugio tra le montagne, su quei Sibillini che hanno così bisogno di ripresa dopo il tragico sisma del 2016 e quei territori dove si fa davvero fatica ad investire.

Quello che lascia davvero senza parole, ancor più in una fase pandemica in cui si dovrebbe incentivare la ripresa delle attività, è proprio il fallimento della politica in queste piccole cose. Un eventuale ritardato pagamento di una polizza assicurativa per pochissime centinaia di euro e la riparazione di una caldaia, possono rappresentare ostacoli così insormontabili per un Comune tanto da non riuscire a trovare una soluzione? Come si può pensare, allora, di risolvere problemi ben più grandi che le amministrazioni comunali sono chiamate ad affrontare? Se i cavilli burocratici, che sappiamo essere infiniti, non possono essere superati ma rischiano di diventare uno scudo per “non fare”, allora non c’è davvero speranza per chi vuol essere propositivo e costruttivo. Eppure la politica dovrebbe essere a servizio dei cittadini e lavorare per trovare soluzioni.

Partecipiamo sovente a conferenze stampa degli enti in cui gli argomenti spaziano dall’attaccamento al territorio fino al rilancio del turismo passando per la ricostruzione post sisma e la ripartenza come sfida alla pandemia. A tutte queste parole (e sono davvero tante, a volte troppe) c’è assoluto bisogno che seguano i fatti, oggi più che mai. Lo sviluppo di un territorio non può fermarsi di fronte ad una caldaia da riparare e una polizza assicurativa da pochi euro e, soprattutto, non c’è scusa che tenga di fronte alla volontà di risolvere una situazione. Servono le azioni, serve la politica del fare, con i cittadini e per i cittadini perché, per dirla con una frase di un grande politico come Churchill, “è un peccato non fare niente con il pretesto che non possiamo fare tutto”.

 

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