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Vi racconto mio nonno Mario: “Grazie a lui ed a tanti altri questo paese è più libero”

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Mario Nigrisoli

di Simone Nigrisoli *

In un tempo dove la libertà di parola era negata a qualsiasi uomo che viveva in Italia, una piccola famiglia borghese e liberale, originaria di Ferrara, poi distribuita anche tra Bologna e Fermo nelle Marche, composta per lo più da medici e intellettuali, si opponeva al regime fascista con tutte le proprie forze e senza alcuna paura. Questa era la famiglia Nigrisoli, una delle famiglie antifasciste più famose e importanti del nord Italia di quegli anni e anche una delle più stimate e popolari dell’Emilia. Talmente ben voluta dalla popolazione che Mussolini non si permise mai di mettersi contro, ma si limitò solamente a licenziare coloro che lavoravano nell’amministrazione pubblica, come accadde a Bartolo Nigrisoli.

Egli era uno dei più famosi chirurghi italiani dell’epoca e professore all’Università di Bologna dal 1883, e fu uno dei primi italiani a firmare il “manifesto degli intellettuali antifascisti” nel 1925. Nel 1931 fu uno dei 19 professori in tutta Italia a non giurare fedeltà al regime fascista e per questo perse la cattedra. Non meno importante è la storia di uno dei nipoti di Bartolo, ovvero Mario Nigrisoli, il primo di una famiglia di 10 fratelli. Mario, nato a Fermo nel 1925, era un ragazzo ribelle e testardo fin da giovanissimo. Non amava andare a scuola, odiava eseguire gli ordini e nemmeno seguire le regole. All’età di 9 anni si ammalò di polmonite e rischiò di morire perchè nonostante gli allarmi della madre, si gettava sudato dopo aver giocato a pallone nelle fontane gelate del paese. Gli anni passarono e Mario divenne ormai quasi un uomo.

Era il 1943 e a Mario appena diciottenne, dopo l’8 Settembre, l’armistizio dell’Italia con l’esercito alleato e la fondazione della Repubblica di Salò, arrivò la lettera di presentarsi al comando della marina di Ancona. Egli non aveva nessuna intenzione di schierarsi dalla parte dei repubblichini e soprattutto di combattere al fianco dei tedeschi, allora, assieme all’amico di sempre “Marcello Malaspina”, scappò sulle montagne del Colle San Marco sull’Appennino Piceno, dove gli era arrivata voce che un gruppo di ribelli armati preparava la resistenza partigiana. Poche settimane dopo però, durante la notte, i tedeschi circondarono la montagna e durante lo scontro a fuoco Marcello, il suo migliore amico, venne colpito alla testa e perse la vita. Mario fu catturato e deportato a Buchenwald nella periferia di Berlino, un campo di concentramento per prigionieri politici e di guerra e fu uno dei primi partigiani italiani a venire catturato: Era Dicembre del 1943. Ricorda con tristezza quei momenti, in cui ogni giorno non aveva senso, tanto la prigionia è capace di togliere l’anima in un uomo e dove si perde qualsiasi cognizione, aspettando solo l’ora della morte. Due anni lunghi, quasi eterni, che sembravano non finire mai.

Poi, una mattina, insieme agli altri prigionieri, si svegliò e non trovò nessuno: Il campo era deserto. I tedeschi erano spariti, al centro del campo c’era un panzerfaust, collegato ad un detonatore. Alcuni prigionieri si avvicinarono e il marchingegno esplose facendoli saltare per aria. Mario si nascose spaventato e intimorito da quell’esplosione e dopo qualche ora arrivano i Russi a liberarlo. Passarono 3 mesi prima di essere rimpatriato e Mario arrivò in treno a casa e si recò subito in piazza a Fermo, dove trovò la mamma che non lo riconobbe da quanto egli era dimagrito. Dopo la guerra Mario si dedicò senza successo alla carriera di pugile, poi, dopo qualche anno conobbe “Veronica”, una ragazza stupenda di Urbino, di cui si innamorò perdutamente e dopo pochi mesi si sposarono. I due innamorati partirono in treno per la Svizzera, per costruirsi un futuro e per cercare lavoro. Destino volle che si fermarono per una sosta in Valle d’Aosta presso dei compaesani, e innamoratisi poi di questi incantevole paesaggi, decisero che qui sarebbe stato il loro futuro. Mario iniziò a lavorare come imbianchino per poi arrivare ad aprire con gli anni una carrozzeria a Courmayeur. Oggi Mario a 89 anni, Veronica è mancata di tumore nel 1976, ha 3 figli: William, Ketty e Maurizio e 4 nipoti: Elia, Sebastien, Valentina e Simone. Da 36 anni vive con una nuova compagna, Orlanda Pasquali. Mangia gelato e beve la birra, nonostante i dottori glielo proibiscono fortemente, dopotutto, anche se anziano, è rimasto un ribelle. Poche volte l’ho sentito parlare della sua prigionia e di quello che ha vissuto in quegli anni, ma le uniche parole che mi sono rimaste impresse sono queste “Io non auguro la guerra a nessuno e a nessuno auguro quello che ho vissuto, tu che sei giovane, goditi la vita, perchè sarebbe il più grande torto che puoi fare a te stesso“. Questa è la storia di Mario Nigrisoli, l’ultimo internato sopravvissuto ai campi di concentramento vivente in Valle d’Aosta.

*Simone Nigrisoli, nipote di Mario, ultimi partigiani internati deceduto lo scorso anno


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