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Il sisma, la frattura per una caduta e l’odissea della fisioterapia: il racconto di una donna di Amandola

di Andrea Braconi

Questa non è una storia, ma un insieme di storie. “È la condivisione di come si vive il terremoto da dentro, con tutto quello che ne consegue, di come ti cambia la vita” ci spiega una donna di Amandola, rimasta ferita dopo la terribile scossa del 30 ottobre scorso.

Un rovesciamento della quotidianità, al quale si possono sommare un paradossale cinismo nei confronti dei bisogni di una comunità, una mancanza di assistenza e di servizi socio-sanitari, così come difficoltà a raggiungere centri distanti diversi chilometri per poter fare terapie quantomai necessarie. Situazioni che, tra un terremoto e l’altro, rimangono sottotraccia. E che meritano di essere raccontate.

Quella domenica di ottobre lei è in casa dei suoi genitori, al piano terra. Il terremoto la fa scappare fuori. Si ferma ad osservare l’abitazione, convinta di essere abbastanza lontana da eventuali crolli. Il movimento continua, impetuoso, e lei perde l’equilibrio. Cade in terra, rovinosamente, riportando diverse fratture. Il referto parla di rottura del capitello radiale, ricostruito con un intervento chirurgico. Le viene messa una protesi al Torrette di Ancona. All’uscita dall’ospedale inizia una serie di traversie per lei inimmaginabili, corredata da paure e mancate risposte.

“Una volta dimessa ho dovuto comperarmi il tutore – racconta – quando invece ho letto che in seguito al decreto sul terremoto la Regione Lazio li ha forniti alle persone che ne hanno fatto richiesta. La Regione Marche, al contrario, ha previsto rimborsi dei ticket dei farmaci, visite specialistiche e non eventuali supporti di questo tipo”.

Nonostante la sua casa abbia resistito, riportando soltanto qualche crepa, la paura per le continue scosse spinge suo marito a cercare una soluzione diversa. La scelta cade su un roulotte. “Dormire lì per me – aggiunge – è stata una sofferenza, da mia madre ho dovuto farmi cucinare e aiutare a vestirmi, il fortissimo dolore al gomito non mi permetteva neanche di arrivare a mettermi neanche i calzini”.

A metà novembre iniziano le sedute di fisioterapia. “Mi è stato suggerito di farmi ricoverare a Villa dei Pini a Civitanova oppure privatamente, perché soltanto chi non deambula ha diritto al servizio a domicilio. Ho fatto il giro dei medici per capire, anche perché non riuscivo a guidare, non avevo un’autista in casa, mio marito lavora e si sarebbe ritrovato a prendere permessi su permessi. Alla fine mi è stato detto di andare a Montegiorgio, dove però potevano garantirmi il servizio solo due volte a settimana, con prospettive di recupero molto lente”.

Una professionista di sua conoscenza, durante le ferie dal lavoro, si presta persino per un paio di settimane a farle sedute di fisioterapia in casa. Ma il recupero è lento, troppo lento. E il dolore persiste.

“Sotto Natale a Montegiorgio sono andata una sola volta, poi mi è stato suggerito di andare in un centro privato a Comunanza per riuscire a dare continuità alla fisioterapia. Ho così iniziato a fare altre sedute lì, integrando quelle di Montegiorgio, sedute che però sono costretta a pagarmi”.

Oggi ha smesso di andare nel presidio ospedaliero della media valle del Tenna. “Era diventata una situazione insostenibile a livello familiare, perciò ho deciso di farlo a pagamento per riuscire a riacquistare più velocemente un’autonomia. Qualche piccolo miglioramento inizio a vederlo e mi incoraggia”.

Ma è quel senso di abbandono che continua a tormentarla. “Mi chiedo se le promesse di riapertura di questo servizio a metà gennaio ad Amandola, poi posticipata di continuo, siano parole vuote o ci sia altro. Chi è nelle mie stesse condizioni chiede risposte e maggiore serietà alle istituzioni. Sono tante le persone che ho incontrato in questi mesi, persone che hanno sofferto e che continuano a soffrire fisicamente a causa del terremoto. Persone che meritano maggiore attenzione e soprattutto rispetto. E non lo dico per pura lamentela, non mi appartiene, ma piuttosto perché bisogna far presente che abbiamo dei diritti che vengono lesi e che, nonostante il dramma subito, non siamo cittadini di serie B”.


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1 commento

  1. 1
    Alessandro Scendoni il 18 Febbraio 2017 alle 19:05

    La signora di Amandola nel raccontare l’episodio avrebbe dovuto essere più precisa, più circostanziale nel denunciare la mancanza di assistenza e di servizi socio-sanitari invece di tirare in ballo tutti e indistintamente. Come si specifica in grassetto nell’articolo “le persone meritano maggiore attenzione e soprattutto rispetto”; ebbene la stessa attenzione e rispetto, però, la merita anche chi lavora quotidianamente nelle strutture citate nell’articolo e si è sentita ingiustamente tirata in ballo!

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