Omicidio Biancucci
Si apre il processo per i tre imputati:
chiesto il rito abbreviato

MONTEGIORGIO - La prima udienza si è aperta con un breve rinvio tecnico, fissato al 4 luglio, per la decisione sulla scelta del rito. I due figli di Maria Biancucci si sono costituiti parte civile tramite l'avvocato Giostra

di Giorgio Fedeli

Si è aperto questa mattina, al tribunale di Fermo, davanti al gup Marziali, il processo per l’omicidio della 79enne Maria Biancucci (leggi l’articolo). Un omicidio partito da una rapina e consumatosi nel silenzio della notte dell’11 marzo dello scorso anno a Alteta di Montegiorgio che, grazie alla brillante indagine condotta dal pm Francesca Perlini e operata dal Nucleo investigativo dei carabinieri del comando provinciale di Ascoli Piceno (all’epoca dei fatti il provinciale di Fermo non era ancora stato costituito) e dalla compagnia dei carabinieri di Montegiorgio, a stretto giro di posta ha portato a stringere il cerchio su due uomini e una donna (leggi l’articolo). Gli stessi che oggi sono chiamati a rispondere di concorso in omicidio aggravato e rapina aggravata per i due uomini, L.D. difeso dall’avvocato Francesco De Minicis, e P.S. difeso dall’avvocato Emiliano Carnevali, zio e nipote, e di concorso in rapina aggravata per la donna, Z.I. difesa dall’avvocato Elisabetta Palmaroli. Per i due uomini chiesto il rito abbreviato condizionato, per la donna l’abbreviato semplice. La prima udienza si è aperta con un breve rinvio tecnico, fissato al 4 luglio, per la decisione sulla scelta del rito. I due figli di Maria Biancucci si sono costituiti parte civile tramite l’avvocato Igor Giostra.

Il procuratore Alessandro Piscitelli e il sostituto procuratore Francesca Perlini nel corso della conferenza stampa

LE INDAGINI 

Dopo il dramma di quella tragica notte, inquirenti al lavoro notte e giorno per venire a capo di un caso di cronaca nera che ha scosso l’intera comunità fermana. Fino a quando il sipario non si è alzato con una conferenza stampa in procura, a Fermo, dove il procuratore Piscitelli, il sostituto procuratore Perlini e gli investigatori dell’Arma hanno ricostruito, passo dopo passo, le indagini che li hanno condotti ai tre. In quella sede è emerso che la morte della Biancucci è stato il tragico epilogo di un piano organizzato in ogni minimo dettaglio, con tanto di simulazione di effrazione della finestra dell’abitazione di Montegiorgio dall’esterno, quando in realtà i tre malviventi, due italiani e una bulgara, erano riusciti tramite un sotterfugio a procurarsi le chiavi di casa della signora Maria Biancucci giorni prima. Sì perché il primo dei due uomini aveva intessuto dei rapporti proprio con la famiglia Biancucci. E questo gli aveva permesso di arrivare a duplicare una chiave della porta d’ingresso. Ma per far sembrare la rapina non premeditata, avevano rotto una finestra della residenza Biancucci. E dopo pochi minuti si è consumata la tragedia. Tutto è partito dalla rapina, cruenta, con l’anziana donna legata al letto, tanto da procurarle la morte. A metterla a segno, si diceva, L.D. pregiudicato fermano, suo nipote P.S., e una donna. Z.I., di origini bulgare. Nel corso dei mesi gli investigatori hanno raccolto una miriade di prove e indizi fino ad arrivare a chiudere il cerchio prima uno dei due uomini, e poi il secondo uomo e la donna. Decisive le analisi della Sezione Biologia del Ris di Roma sui reperti raccolti sulla scena del crimine dal personale specializzato del Nucleo Investigativo.

 

Maria Biancucci

E’ stato infatti isolato un profilo genetico maschile ignoto, individuato sia sul nastro utilizzato per immobilizzare le caviglie della signora Biancucci, sia sotto le unghie della vittima. Le successive indagini hanno consentito di accertare che l’effrazione della finestra, si diceva, era in realtà stata una vera e propria messa in scena, realizzata dall’interno dell’abitazione in quanto i malviventi erano già entrati grazie ad una copia delle chiavi del portone principale che si erano procurati qualche giorno prima con un sotterfugio.
Dopo i primi sopralluoghi è emerso come dall’abitazione della signora Biancucci erano state sottratte due tessere bancomat emesse da Poste Italiane e intestate alla vittima ed anche uno dei due pin abbinati. Nelle prime ore della mattinata successiva il codice è stato utilizzato dai malviventi per effettuare un prelievo di 600 euro presso uno sportello Postamat di Porto Sant’Elpidio.

I carabinieri in casa Biancucci la notte dell’omicidio

IL PRIMO ARRESTO
Il minuzioso esame del traffico telefonico acquisito sulle celle a copertura della località in cui il delitto era stato commesso ha consentito di isolare due utenze che, in circostanze temporali assolutamente compatibili con quelle dell’esecuzione dell’omicidio, si erano contattate tra loro per un brevissimo lasso di tempo, entrambe intestate alla stessa persona, una donna incensurata. L’esame dei filmati acquisiti su alcune telecamere ubicate sulle strade vicine alla località del delitto, hanno inoltre premesso di individuare una Lancia Y in uso ad un soggetto pregiudicato residente a Fermo sul conto del quale, dopo più approfonditi accertamenti, è stato possibile rilevare l’esistenza di un forte legame con la donna intestataria delle due utenze emerse dai tabulati di cella (leggi l’articolo).

Nel corso delle indagini si è riusciti ad acquisire un campione biologico, riconducibile a un pregiudicato fermano, da cui è stato estrapolato il profilo genetico presso i laboratori dei Ris di Roma. Il dna ottenuto corrispondeva a quello rinvenuto sia sul nastro utilizzato per immobilizzare le caviglie che a quello sotto le unghie della vittima. Visti gli esiti delle analisi Ris l’autorità giudiziaria ha disposto il fermo del pregiudicato fermano L.D. catturato lo scorso 18 luglio.

La finestra rotta dagli imputati

GLI ULTIMI DUE ARRESTI DEL 16 GENNAIO
Le successive indagini hanno, poi, consentito di individuare un particolare veicolo, una Opel Tigra che, la notte dell’omicidio, seguiva il mezzo dell’indagato, ripreso dalle telecamere anche dopo il prelievo presso lo sportello postamat mentre si allontanava da Porto Sant’Elpidio. Il proprietario e utilizzatore del secondo veicolo è stato identificato in P.S. nipote 35enne di L.D.. La sua conformazione fisica risultava assolutamente compatibile con quella del soggetto ripreso la mattina del 12 marzo mentre eseguiva il prelievo di denaro presso il postamat di Porto Sant’Elpidio utilizzando il tesserino della vittima (leggi l’articolo).

L’analisi dei filmati relativi agli appostamenti anomali della Lancia Y di L.D., lo studio minuzioso del traffico di cella e le dichiarazioni di rilevante gravità rilasciate sia da L.D. che da P.S., hanno consentito di identificare anche il terzo complice, che aveva effettivamente ricoperto il ruolo di autista ed accompagnatore di L.D. e P.S. a bordo della lancia Y nel viaggio che aveva come destinazione l’abitazione della vittima, per poi recuperarli previo segnale telefonico al termine del colpo. Il terzo complice è stato identificato in L.Z. donna di origini bulgare legata sentimentalmente a L.D.

Grazie ai gravissimi indizi raccolti dai militari negli ultimi mesi, l’autorità giudiziaria ha così emesso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per concorso in rapina aggravata. L’arresto degli ultimi due elementi della piccola banda criminale è avvenuto lo scorso 16 gennaio. Per la giustizia e l’Arma caso chiuso, non ci sono ulteriori rami di indagine che partono dal fatto di sangue di quell’11 marzo 2018.

La casa di Maria Biancucci dove si è consumata la tragedia

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