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“Il sistema rischia di saltare”
Livini fa il punto sul Covid
e blinda la scuola:
“Deve rimanere aperta”

FERMO - Il direttore dell'Area Vasta 4, affiancato da Scialè, ha illustrato la situazione su tamponi, contagiati e ricoverati, con un'attenzione particolare per il mondo scolastico: “Dobbiamo fare il massimo per garantirlo”

di Andrea Braconi

Un’emergenza che si sta prolungando, diventando ordinarietà. C’è una forte preoccupazione nelle parole di Licio Livini, direttore dell’Area Vasta 4, con numeri che iniziano a diventare importanti, arrivando a determinare condizionamenti organizzativi. “Il rischio è che si arrivi a far saltare un sistema abituato a ritmi di lavoro diversi” è il suo allarme.

“È diventata una situazione che giornalmente dobbiamo ritarare, soprattutto sulla straordinarietà. E tutto questo è disorientante anche per i cittadini. Inutile negare che siamo preoccupati: ci sentiamo addosso una responsabilità di dover riportare la nostra comunità su livelli di normalità. Occorre fare, fare, fare ma prima che le situazioni implodano e che si mettano a rischio diversi aspetti della vita quotidiana come scuole, attività lavorative e sociali”.

Perché la sanità ha il suo peso, ha tenuto a precisare, resta un riferimento importantissimo, ma la chiamata è per tutti. “Questa emergenza è di tutti, anche di chi si vuole distinguere come è accaduto a Roma con una manifestazione di chi non condivide certe situazioni, Ma il sistema di vita è di tutti. La sanità viene investita rispetto ai compiti istituzionali che deve garantire, ma occorre che altri facciano la loro parte”.

LA SITUAZIONE NELLE SCUOLE

La preoccupazione di Livini è concentrata soprattutto sul sistema scolastico. “Occorre che abbiano procedure e sostegni forti e chiari. A noi arrivano di continuo grida di aiuto, gli istituti si trovano disorientati, spesso capita che non sanno come comportarsi e rispondere. È un segno di debolezza rispetto ad un sistema che non si è preoccupato di mettere in fila una serie di risposte per certi settori vitali”.

L’Area Vasta 4 ha richiesto alla Direzione dell’Istituto Scolastico Regionale una serie di numeri per valutare correttamente il fenomeno, da rapportare sul complessivo. “Ci serve per capire quanto incida questo fenomeno, se c’è una curva preoccupante o se invece sono numeri gestibili. Ci sono ansie esagerate, giustificabili ma non sappiamo se giustificabili con i numeri. Di fronte a certe cifre potremmo anche definire questo fenomeno fisiologico, ma occorre essere precisi. Purtroppo c’è un raccordo troppo fragile tra scuola e sanità”.

Alla Direzione sanitaria continuano ad arrivare richieste di aiuto da presidi, professori e famiglie. “Insisto: non abbiamo un numero preciso sulla popolazione studentesca, sappiamo quanti interventi abbiamo fatto ma resta un dato sterile. Abbiamo coinvolto qualche professionista che si occupa di statistica per capire se il fenomeno va aggredito diversamente o se va ritarato. Purtroppo ci siamo preoccupati di trovare i banchi con le rotelle, ma forse è sfuggito l’aspetto organizzativo”.

La cronaca recente riporta casi di istituti scolastici del territorio che hanno scelto di sospendere l’attività didattica in via precauzionale. “Secondo me doveva esserci l’obbligo di individuare un medico scolastico, il riferimento per la scuola doveva essere un sanitario. Sarà forse una figura antiquata, superata, ma in questo momento sarebbe stata molto importante. Ma se volete sapere il mio parere le scuole devono rimanere aperte, è un settore vitale, è il futuro della nostra società. E dobbiamo fare il massimo per garantirla”.

IL NODO TAMPONI

A Vittorio Scialè, direttore del Distretto, il compito di ‘raccontare’ i numeri sui tamponi, altro tema al centro del dibattito pubblico. “Tutti i giorni facciamo 350 tamponi processati dallo Zoo Profilattico: 150 tamponi come Dipartimento e nel pomeriggio altri 200 tra medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, più almeno 150 tamponi che fa la nostra Patologia Clinica. Quindi, siamo intorno ai 500 tamponi giornalieri, con un’incidenza dei contagi intorno al 5%, considerando che negli ultimi 4 giorni abbiamo riscontrato 102 positivi”.

E il porre in quarantena una persona, ha voluto precisare, è sempre legato ad un’indagine epidemiologica. “Se ho elementi certi per stabilire che quella persone è un contato potenzialmente stretto, quella va in quarantena. Se non ho elementi certi, non ci va”.

Ma c’è un rischio che il sistema, considerato l’aumento dei casi (“Fino ad un mese fa facevamo una media di 200 tamponi al giorno, nel giro di 15 giorni si è rovesciato il mondo e siamo passati a 500”), vada in sofferenza? “Il discorso tampone viene scaricato in maniera violenta sui pediatri: il 60%, infatti, è richiesto da loro, il 40% dai medici di medicina generale. Ma il sistema ha ancora dei margini: si sta valutando di separare i ddt e farne uno dedicato per i pediatri. Adesso abbiamo la possibilità ufficiale dell’uso del test antigienico, sdoganato da una circolare ministeriale e validato. È una decisione che prenderemo a breve sull’indirizzare i minori ad un ddt dedicato a loro, decongestionando quello dei medici di medicina generale. Sarebbe una cosa che risolverebbe tantissimo”.

Ma se si vuole attenzionare tutta la popolazione serve un sistema che faciliti questo tipo di lavoro: questo il Livini pensiero. “Oggi abbiamo queste persone e questa strumentazione, ma se dobbiamo fare di più serve una strumentazione diversa per un controllo mensile per tutti. Allora in quel caso funziona meglio, non devi preoccuparti del focolaio, mentre oggi questo sistema vive tanto di iniziativa e fantasia locale. Noi lamentiamo che siamo in una posizione non chiara, aspettiamo dai livelli superiori qualche indicazione più precisa. È il livello regione a doverla dare? È il livello Stato? Non lo so, ma serve che qualcuno agisca, non si può spremere un sistema fino a chiedergli il sangue”.

I NUMERI

Alla serata di ieri i ricoverati a Malattie Infettive erano 31, più un 80enne originario del Marocco che è purtroppo deceduto nel pomeriggio. Di questi 10 provengono dalla nostra Area Vasta, 15 da quella ascolana, 10 dal Maceratese e altri 3 da fuori regione. “Dieci sono critici – ha precisato Livini – gli altri in condizioni discrete. Complessivamente ci sono 890 persone in isolamento domiciliare, di cui 96 sintomatici”.

COME STA IL MURRI

Con la chiusura degli ingressi all’ospedale “Murri”, l’Area Vasta ha dato un segnale chiaro, ribadendo come la struttura possa e debba rimanere ‘pulita’. “Abbiamo fatto un’esperienza su 3 fasi di allerta. La prima è quella che abbiamo anche oggi, con la garanzia di 32 letti a Malattie Infettive. Se dovessimo andare oltre abbiamo la possibilità di incrementare con altri 22 letti da Medicina più spazi eventualmente da Cardiologia e letti che ci consentano di fare da terapia subintensiva. Vorrei tenere pulita la nostra rianimazione il più possibile”.

Al momento restano sospesi 600 interventi in sala operatoria. “Stiamo facendo delle sedute aggiuntive il sabato e vediamo se riusciamo a metterne anche di più per recuperare, come stiamo facendo per le attività di screening, tac e risonanze, oltre alla specialistica ambulatoriale”.

C’è poi la terza fase, definitiva di emergenza massima, con l’accorpamento dei reparti chirurgici che permetterebbe di liberare un piano intero e di ottenere 30 letti. Fino ad arrivare alla riapertura del Covid Hospital di Civitanova Marche, come paventato nelle ultime ore.

Anche sul piano assunzioni non si ferma l’azione della Direzione sanitaria. “Abbiamo chiesto per il momento 61 infermieri, ricevendo 46 conferme che nel giro di un mese dovremmo avere con noi. Inoltre sono stati chiesti 6 posti di rianimazione, oltre a portare a 20 i posti terapia intensiva e a 10 quelli della sub intensiva”

Ma i livelli 1, 2 e 3 riguardano anche il territorio, come ha precisato Scialè. “Sant’Elpidio a Mare può diventare percorso dedicato per radiodiagnostica e anche a Montegiorgio possiamo avere spazi per cure intermedie”.

C’è poi il caso della struttura privata di Campofilone. “In questa fase la stanno usando come punto di riferimento di pazienti post critici da tutta la regione, elemento che penalizza fortemente le Marche del sud perché la struttura si è leggermente modificata. All’inizio i 100 posti eranno tutti Covid ma adesso hanno avuto l’autorizzazione per 33 posti di riabilitazione intensiva. La capienza Covid, quindi, è molto diminuita, il direttore mi parlava di 3 nuclei da 20 e già ce ne sono 40. L’accordo regionale prevedeva un’altra struttura a Pesaro che però non è stata riattivata, così come l’ospedale di Fossombrone. Questa cosa mi preoccupa un po’”.

Livini, su questo versante, ha aggiunto un ulteriore elemento. “Questi pazienti a volte rientrano in ospedale perché possono riaggravarsi e quindi se li riassorbe l’ospedale di Fermo, fatto che penalizza ancora di più questo territorio”.

L’ATTIVITÀ DELLE USCA

Altro elemento fondamentale in un sistema immerso dentro una continua emergenza è quello delle 2 Usca, tornate attive dal primo ottobre. “Sono medico e infermiere che vanno a domicilio – ha concluso Scialè -, un’opportunità anche per le persone che così non devono muoversi da casa. L’intervento va richiesto al medico di medicina generale, con le unità che partono da Sant’Elpidio a Mare con mezzi normali ma con tutte le protezioni del caso”.



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