di Leonardo Nevischi
Poco meno di un anno fa, i ristoratori di Porto Sant’Elpidio furono tra i primi nella nostra provincia a farsi promotori della manifestazione di protesta dal nome #RisorgiamoItalia, illuminando le strade ed i vicoli della città con l’energia sprigionata dai loro locali e presentandosi davanti l’ingresso del Comune per consegnare simbolicamente al sindaco Nazareno Franchellucci le chiavi delle loro attività.
Oggi, esattamente 339 giorni dopo quel sit-in di aprile, lo scenario non è poi così diverso. È arrivata un’altra Pasqua, ma l’Italia non è ancora risorta. Quel fantomatico #RisorgiamoItalia è finito nel dimenticatoio insieme allo slogan “Andrà tutto bene“, che come un mantra abbiamo sentito ripetere centinaia di volte dall’inizio della pandemia. Eppure è andato tutto male.
Tra i fautori di quel carosello di circa 40 vetture che rappresentavano almeno 35 attività a nome di tutto un comparto, c’erano anche volti noti di Porto Sant’Elpidio. Uno su tutti quello del titolare del Gambero, Piero De Santis che si è fatto portavoce dell’iniziativa «per dimostrare alla cittadinanza che noi esistiamo ancora, che vogliamo riaprire, che vogliamo lavorare. Questi continui decreti sono diventati insostenibili per noi, per le nostre famiglie e per i nostri dipendenti: non possiamo rimanere ulteriormente chiusi. La ristorazione è chiusa, i pubblici esercizi non sono accessibili eppure i contagi aumentano: c’è qualcosa che non torna – sottolinea De Santis chiosando con un interrogativo al quale tenta di dare una risposta -. Probabilmente ci faranno rimanere chiusi fino alla fine di aprile, ma poi cosa succederà a maggio? Se la riapertura dovesse slittare anche per il mese di maggio, penso che per noi sarebbe la fine».
A fare eco a De Santis è poi Stefano Alessandrini della trattoria Trentasette che è categorico: «Noi vogliamo lavorare, non vogliamo i ristori». Poi seguita con un appello alle istituzioni: «Chiediamo di poter riaprire il prima possibile perché le nostre attività sono facilmente controllabili. Possiamo garantire il distanziamento dei tavoli e dei posti a sedere, inoltre possiamo contingentare il numero dei clienti che già avevamo ridotto del 50%». Ed in merito all’asporto, che al momento è l’unica ancora di salvataggio per queste attività, Alessandrini confessa: «Il servizio di asporto è garantito ma così non lavoriamo a pieno regime. Non è che non lo vogliamo effettuare, ma non è il nostro lavoro. C’è chi arranca con l’asporto e chi invece ha preferito rimanere del tutto chiuso, ma in ogni caso le persone sono stanche di questa situazione drammatica perché potrebbero usufruire in sicurezza del nostro servizio nei nostri locali».
Tra i più adirati c’è sicuramente Jury Piergentili, titolare dell’osteria-pizzeria Le Grottacce che non le manda di certo a dire alle istituzioni: «Venerdì dai piani alti non ci avranno sicuramente sentito (fa riferimento agli organi di potere centrali, ndr) ma di certo abbiamo fatto un bel casino. Ci hanno creato disagi enormi promettendo ristori che non esistono al semplice scopo di non farci sopravvivere».
«Io ho aperto il mio locale nel dicembre 2019 e non avendo fatturato relativo a due anni fa per loro è come se non esistessi – spiega Piergentili narrando la sua storia personale – Non è giusto che si pensi che siamo noi la causa dell’aumento dei contagi, perché siamo chiusi da 270 giorni ed i contagi continuano ad aumentare: lo stato deve ammettere che sta sbagliando. Ho un mio caro amico che vive in Inghilterra che il prossimo 15 aprile riceverà il vaccino ed ha solo 44 anni. Mi ha raccontato che da inizio maggio i ristoranti apriranno sia a pranzo sia a cena, qui invece siamo anni luce indietro e non si può più andare avanti così. Abbiamo anche noi delle famiglie, abbiamo costi, spese, affitti, mutui, come tutti. Però i contagi sono solo colpa dei bar e dei ristoranti. Noi come sopravviviamo? – si interroga Piergentili che poi continua – Tutti capiscono le difficoltà, tranne lo Stato: i fornitori ti aspettano, coloro a cui si deve versare l’affitto pazientano e ti aiutano. È sconcertante. Tuttavia in Autogrill è possibile mangiare comodamente seduti, senza particolare fretta e senza paura di contagiarsi: ci sono delle categorie come la nostra che non contano nulla. Il nostro settore è totalmente dimenticato».
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