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«Fermiamoci, così il Pd va a sbattere:
il percorso unitario non può partire
da un taglio di teste»

POLITICA - La minoranza dem capitanata da Michela Bellomaria lancia un appello dopo il documento di fuoco approvato dalla direzione con cui si chiedono le dimissioni di Maurizio Mangialardi da capogruppo in Regione

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Chantal Bomprezzi e Michela Bellomaria

«Fermiamoci, fermiamoci, altrimenti così il Pd va a sbattere». E’ l’appello che arriva dalla minoranza dem capitanata da Michela Bellomaria, dopo la resa dei conti iniziata con l’ultima direzione del partito quando è stato approvata a maggioranza la relazione della segreteria Chantal Bomprezzi con cui in sostanza si è chiesto al capogruppo in Regione Maurizio Mangialardi di fare un passo indietro. Nel documento, passato con 23 voti favorevoli, nessun contrario e l’astensione della minoranza, si è messo nero su bianco il rapporto, mai veramente sbocciato, tra la parte più consistente del gruppo consiliare e la segreteria. Ma nel documento, poi votato, è finita anche parte della relazione di Bellomaria e della minoranza, il cui passaggio fondamentale potrebbe essere racchiuso da queste parole: «La segretaria Bomprezzi è la segretaria di tutto il Pd, quindi, anche della minoranza. Chiediamo solo che si possa costruire, cosa non avvenuta in questo anno, un percorso partecipato e condiviso tra tutte le sensibilità espresse dal Pd regionale. Per questo, ribadiamo e facciamo appello alla segretaria affinché si costruisca una unità sostanziale in previsione dei prossimi importanti appuntamenti».

«Il contributo che ho voluto dare alla direzione, attraverso la presentazione di un documento – spiega Bellomaria – è proprio nello spirito di unità che in questa fase ci deve caratterizzare. La stessa mia dichiarazione di voto, e la successiva non partecipazione alla votazione da parte di molti di noi, è stato un atto di amore verso il Pd e non certo tendente ad alimentare ulteriori polemiche. Le frasi del nostro documento non possono essere caratterizzate da interpretazioni di parte. Esse, infatti, racchiudono un significato politico chiaro, tutto proteso ad invitare la segreteria a costruire un percorso unitario il quale, ovviamente, non può partire da nessun taglio di teste che altro non farebbe che continuare una inutile quanto dannosa divisione che tutta la comunità marchigiana pagherebbe e non farebbe altro che ridare credibilità a una destra, che in tre anni e mezzo di governo regionale, non ha risolto i problemi reali dei cittadini».

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Maurizio Mangialardi, capogruppo del Pd

Ed ecco che arriviamo al nodo della questione. Da una parte – quella della maggioranza e della segreteria – si ritiene che il rapporto conflittuale con parte del gruppo consiliare vada cambiato subito e per dare un segnale in tal senso è necessario che il capogruppo faccia un passo indietro. Dall’altra parte – quella della minoranza – si dice a chiare lettere che “tagliare teste” in questo momento non porterebbe altro che a continuare una dannosa guerra intestina.

Come se ne uscirà? Al momento aperture non ce ne sono state né da parte di Bomprezzi, che sembra intenzionata a concludere questa resa dei conti, né da parte di Mangialardi, che non è apparso così desideroso di rassegnare autonomamente le dimissioni. Senza considerare che se si dovesse arrivare a un voto di sfiducia, Mangialardi sarebbe ancora forte dell’appoggio della maggioranza del gruppo consiliare: avrebbe dalla sua Andrea Biancani, Micaela Vitri, Manuela Bora e Anna Casini. Nonostante le prese di distanze degli ultimi giorni di Fabrizio Cesetti, che dunque si potrebbe aggiungere a Romano Carancini e Antonio Mastrovincenzo, il capogruppo avrebbe comunque dalla sua quattro consiglieri su sette. Premesso che nulla è scontato e che in questo scenario anche un solo consigliere potrebbe cambiare le carte in tavola, è chiaro che già arrivare al voto di sfiducia sarebbe l’ennesima sconfitta di ogni appello all’unità.

(g. def.)

 


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