di Giuseppe Fedeli
Certi incontri riaprono ferite, recano venti di guerre mai sopite, ma è bene accadano, ad ammonici su quel che è giusto fare, cioè a dire sulla strada da intraprendere. Incontri mai casuali, governati da una Necessità che ci sovrasta, per cui ciò che ha da accadere prima o poi accadrà. Agli umori di un’estate selvaggia, quasi sprezzante dei ritmi fisiologici, si ammanniscono feste paesane, che, da quando si è perso il senso dell’agorà, hanno poco senso. Concerti senza pretese, o azzardi musicali che risuonano in spazi consacrati alla abitudine, in cui ci si ritrova, si scambiano due chiacchiere. Sì che lo strimpellare di quattro avventurieri del pentagramma è solo una ‘occasione’. Purtroppo, càpita di fare anche spiacevoli incontri, che, tuttavia, se ben ‘giocati’, diventano una sorta di ‘alert’ nei confronti di persone irriguardose, la cui esistenza è in sé futile. Il messaggio di questi ‘incontri’ è chiaro: spezzare per sempre il filo che ti lega per vincolo di sangue o di (mendace) amicizia a certi individui.
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E così, allontanatomi dalla mia postazione, mi fermo a parlare con un tale, che non vedo da tempo. Ma, prima di andarmene, saluto, come educazione vuole, chi ha fatto del doppiogiochismo e della finzione il suo abito. Vengo ricambiato di un mezzo saluto (i carnefici sono ‘per principio’ vittime), algido.
Qual è l’insegnamento che si trae da certi accadimenti? Il motto ‘mi sei fratello, perché mi sei amico‘ (e non viceversa, salvo ciò non avvenga). Memore di certe esperienze ‘fallimentari’ (non certo per me) e dolorose, da tempo i ‘fratelli’ me li scelgo io. Gli altri rimangono tali per comune discendenza di sangue, nomi vergati da un calamo severo, il cui inchiostro sbava sugli annali del passato, custoditi in archivi polverosi. Anagrafi ormai obsolete, afone, a suggellare un vincolo di sangue, i cui rivoli si sono ormai persi in non so quale oceano.
* giudice
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