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Accordi di ristrutturazione e concordati in continuità tendono una mano alle imprese per l’uscita dalla crisi

PAROLA AGLI ESPERTI - Continua su Cronache Fermane la rubrica in collaborazione con l’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Fermo guidato dalla presidente Eliana Quintili. Ogni settimana i professionisti iscritti all'Ordine affrontano temi di attualità e approfondimenti sul mondo della contabilità, fiscale e del lavoro

di Alessandro Felicioni

La riforma della legge fallimentare viaggia a due velocità e riserva una corsia preferenziale agli accordi di ristrutturazione del debito; non senza dubbi e polpette avvelenate. Il decreto legge che procrastina ancora una volta l’entrata in vigore del Codice della Crisi di Impresa (D.L. 24 agosto 2021, n. 118) si snoda su due filoni principali: il primo, dedicato al nuovo istituto della composizione negoziata della crisi d’impresa, dovrà attendere gli strumenti attuativi e i tempi tecnici necessari e non è quindi, di imminente operatività; il secondo, invece, pret à porter, interessa le procedure concorsuali minori e strizza l’occhio agli accordi di ristrutturazione e, in misura minore, ai concordati in continuità. Vale quindi la pena soffermarsi su questa seconda infornata di novità proprio perché le modifiche sono già utilizzabili per i piani di concordato o di ristrutturazione da presentare in tribunale.
È l’articolo 20 del decreto a contenere le modifiche , definite urgenti anche nella rubrica, alla legge fallimentare.

Si parte con un intervento sulla transazione fiscale. Come noto, nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione, è possibile, in presenza di determinate condizioni, che la proposta di transazione fiscale avanzata all’amministrazione finanziaria venga dichiarata meritevole di accoglimento direttamente dal Tribunale, a prescindere dalla decisione dell’Agenzia delle Entrate.
Viene ora chiarito che tale prerogativa spetta al giudice non solo quando l’Amministrazione Finanziaria non si sia pronunciata (cosa che dovrà avvenire entro novanta giorni dalla proposta in caso di accordi di ristrutturazione, in sede di adunanza dei creditori in caso di concordato) ma anche quando si sia apertamente dichiarata contraria alla proposta. In precedenza, infatti, si erano create situazioni non univoche in presenza di diniego espresso dell’Agenzia delle Entrate che, secondo alcuni Tribunali, impediva al giudice di sovvertire la decisione presa dal creditore istituzionale. Resta la curiosità di constatare la nuova dinamica dei rapporti tra Amministrazione Finanziaria e Tribunale laddove la decisione contraria dell’Agenzia sia espressa in relazione ad una proposta che il Tribunale può, coercitivamente, far accogliere. Occorrerà, di sicuro, un pizzico di coraggio da parte del Giudice e altrettanto buon senso e spirito di collaborazione da parte delle Agenzie delle Entrate.

Misure importanti anche per il concordato preventivo, soprattutto quello in continuità. È infatti ormai conclamata l’intenzione del legislatore di rendere più conveniente la predisposizione di piani in continuità, anche indiretta, rispetto alla proposta che si basi sulla mera liquidazione del patrimonio aziendale. Così viene ora previsto che il piano di concordato (in continuità) può prevedere il pagamento delle retribuzioni antecedenti la data di presentazione del ricorso per i lavoratori ancora in forza addetti all’attività di cui, appunto, si prevede la continuazione. La disposizione sdogana definitivamente la possibilità di considerare “strategici” tali creditori, superando le difficoltà fino ad ora riscontrate nell’applicazione dell’articolo 182-quinques alla fattispecie in esame. Resta da chiarire la necessità o meno di una attestazione speciale come già prevista per il pagamento anticipato degli altri creditori concorsuali.

Sempre nel concordato in continuità viene consentito di continuare nel pagamento delle rate del mutuo garantito da ipoteca su un bene strumentale dell’impresa necessario per la continuità prevista dal piano e quindi non messo a disposizione dei creditori. Addirittura il Tribunale può autorizzare il pagamento delle rate scadute al momento della presentazione del ricorso, rimettendo in termini il debitore. Tale possibilità non appare praticabile quando il contratto è già stato risolto al momento della presentazione della domanda. Qui serve sicuro l’attestazione del professionista che si indirizza su due aspetti fondamentali: dimostrare che in caso di eventuale liquidazione del bene il ricavato sarebbe sufficiente a pagare integralmente il creditore ipotecario e che il pagamento delle rate in corso di concordato non pregiudica i diritti degli altri creditori. Pare facilmente intuibile il fastidio che tale norma creerà agli altri istituti di credito ipotecari e ai creditori privilegiati che vedono volar via risorse potenzialmente destinate a loro. L’auspicio è che in questa situazione conflittuale non rimanga incastrato il professionista attestatore, sempre più spesso capro espiatorio su cui creditori e tribunale si concentrano.

Sempre in tema di concordato in continuità, viene raddoppiato da uno a due anni il periodo di moratoria post omologa per il pagamento dei creditori privilegiati. Ciò avrà efficacia soprattutto in termini di accesso alla votazione di tali soggetti per i quali il piano preveda la soddisfazione, in tutto o in parte, oltre il biennio. Naturalmente a condizione che i tribunali trovino un modo definitivo e uniforme per quantificare tale eventuale partecipazione al voto.
Il punto focale dell’intervento legislativo è però legato agli accordi di ristrutturazione: viene riscritto ex novo l’articolo 182-septies sugli accordi ad efficacia estesa e vengono introdotte nuove misure volte a facilitare l’accesso e la riuscita della procedura.
È possibile ora costruire categorie omogenee di creditori di qualsiasi natura (anche fornitori di beni e servizi) e attrarre nell’accordo anche i recalcitranti, purché gli stessi non rappresentino più del 25% della categoria stessa. Occorre però che tutti siano informati di cosa sta succedendo, che l’accordo che viene imposto sia migliorativo rispetto a qualsiasi soluzione alternativa (nella maggior parte dei casi, fallimento) e, soprattutto, che il piano di ristrutturazione sia in continuità, anche indiretta. Sono richiesti, altresì, specifici adempimenti procedurali. L’attrazione, o meglio la coartazione, non può imporre nuove prestazioni al creditore.

In questo nuovo scenario il vecchio 182-septies, dedicato solo agli istituti di credito, diventa un di cui della norma generale. Così, se più della metà dell’indebitamento societario è di matrice bancaria è possibile creare delle categorie di creditori finanziari e cercare l’assenso del 75% di ciascuna categoria. L’unica differenza con la normativa generale è che in questo caso (debiti bancari preponderanti) l’accordo ad efficacia estesa è possibile anche se il piano non è in continuità. In sostanza viene previsto l’accordo ad efficacia estesa con le banche anche se queste rappresentano meno del 50% dell’indebitamento, così come per tutte le altre tipologie di creditori. Anche qui tutto da chiarire il ruolo dell’attestatore e i suoi doveri in ordine alle condizioni previste per accedere all’accordo.

Il nuovo articolo 182-octies, modifica l’istituto della convenzione di moratoria, prevedendo, anche per esso, un’efficacia estesa. La disciplina è tracciata sulla falsa riga degli accordi ad efficacia estesa ma qui viene espressamente previsto l’intervento dell’attestatore a certificare la presenza dei requisiti richiesti e l’idoneità della convenzione. Nella pratica lo strumento non è stato molto utilizzato giacché, spesso, la moratoria viene concessa, di fatto, dagli intermediari finanziari che si siedono al tavolo delle trattative. Va peraltro evidenziato che la norma non fa alcuna distinzione tra tipologie di creditori ed è quindi, astrattamente, applicabile anche ai fornitori di beni e servizi.

Istituto del tutto nuovo è invece quello dell’accordo di ristrutturazione agevolato (art. 182-novies). La norma, laconicamente, prevede la possibilità di ridurre la percentuale di adesione dal 60% al 30% dell’intero indebitamento in presenza di due semplici requisiti: che il piano preveda il pagamento immediato dei non aderenti (senza la moratoria di 120 giorni) e che il ricorso per l’omologa dell’accordo non sia stato preceduto né da un ricorso prenotativo (161, comma VI l.f.) né da un’istanza per la sospensione delle azioni (182-bis, comma VI, l.f.). L’appeal che sicuramente riveste la novità avrebbe consigliato una disciplina un po’ più accurata, quanto meno nei rapporti tra questa norma e gli accordi ad efficacia estesa. Ci si chiede, in particolare, come debbano essere considerati ai fini del quorum i creditori ai quali vengono estesi gli effetti degli accordi raggiunti con il 75% degli appartenenti ad una categoria omogenea. Questi fanno parte del 60%, eventualmente ridotto al 30% in virtù della norma in esame? La norma parla di estensione degli effetti e non di adesione forzata. Evidentemente se gli attratti vengono computati nel quorum la combinazione dei due istituti ha un effetto moltiplicatore importante per il raggiungimento delle percentuali minime di adesione.
Infine l’articolo 182-decies fa ordine sugli effetti degli accordi di ristrutturazione nei confronti dei coobbligati e dei soci con responsabilità illimitata. Anche qui, però, non mancherà materiale di discussione e di interpretazione.

In generale viene affermato che la conclusione degli accordi di ristrutturazione libera anche i coobbligati; si applica infatti l’articolo 1239 c.c.. Ciò però a condizione che il creditore abbia espressamente sottoscritto l’accordo; se invece il creditore si è trovato ingabbiato in un accordo ad efficacia estesa ed ha dovuto digerirlo, obtorto collo, allora resta impregiudicata l’azione nei confronti dei garanti.

L’ultimo comma dell’articolo 182-decies fa riferimento agli accordi stipulati da società con soci illimitatamente responsabili. Viene previsto che gli accordi liberino anche i soci ma se questi sono contemporaneamente anche fideiussori, possono essere aggrediti per tale diverso titolo. Il tutto salvo patto contrario. Due osservazioni: intanto la norma andrebbe coordinata con l’articolo 184 l.f. che, in caso di omologa del concordato della società di persone, prevede la liberazione completa dei soci fideiussori, come interpretato dalla giurisprudenza, con disciplina evidentemente ed ingiustificatamente diversa rispetto agli accordi di ristrutturazione. Va poi chiarita la forza della mancata previsione di “patto contrario” prevista per la liberazione dei fideiussori di cui al primo comma. È derogabile? È possibile stipulare accordi in cui si preveda che il creditore possa mantenere impregiudicati i propri diritti verso i fideiussori? Il fatto che solo al terzo comma sia previsto l’inciso “salvo patto contrario”, porta a ritenere che la previsione di cui al primo comma non sia aggirabile tra le parti. Ciò risulterebbe fortemente penalizzante soprattutto per tutti quelli accordi oggi in fase di gestazione dove sono stati raggiunte intese legate anche alla possibilità per il creditore di coltivare le proprie azioni (magari già avviate) nei confronti dei coobbligati.
In questo sbocciare di novità, tutte intriganti e propositive, non mancano però le spine, anche nascoste tra le rose più profumate. Viene estesa la possibilità di configurare reati fallimentari di bancarotta fraudolenta e semplice in capo agli amministratori anche in ipotesi di accordo di ristrutturazione o convenzione di moratoria ad efficacia estesa e in caso di attrazione forzata dell’Agenzia delle Entrate.

Le ultime disposizioni (articoli 21, 22 e 23) prorogano ed allargano alcuni termini procedurali: possibile uscire da un concordato in bianco con un piano attestato fino a fine 2022 (anziché 2021), possibilità di concedere fino a 120 giorni prorogabili anche per le domande di concordato in bianco con istanza di fallimento pendente e impossibilità di risolvere concordati omologati dopo il 2018 (e a maggior ragione di chiedere il fallimento) fino a fine 2021.

 



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