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“Efficienza, produttività e competitività”, le parole chiave per i commercialisti negli equilibri di mercato

PAROLA AGLI ESPERTI - Continua su Cronache Fermane la rubrica in collaborazione con l’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Fermo guidato dalla presidente Eliana Quintili. Ogni settimana i professionisti iscritti all'Ordine affrontano temi di attualità e approfondimenti sul mondo della contabilità, fiscale e del lavoro

di Francesco Raccichini *

Efficienza, produttività, competitività 

La quantificazione del prezzo di vendita dei beni o dei servizi prodotti dall’azienda rappresenta un momento determinante dell’attività della direzione aziendale. In realtà non esiste un prezzo “giusto” o “corretto” in assoluto per ciascun bene/servizio oggetto di produzione. Esiste invece, sempre, un prezzo di equilibrio dato da quel prezzo che, da un lato, è ritenuto dall’acquirente il congruo valore da pagare per ottenerlo nell’economia della propria impresa, in quella specifica situazione di mercato; e dall’altro, è ritenuto dal venditore la congrua remunerazione del costo dei fattori produttivi che ha dovuto sostenere per produrlo, aumentato della remunerazione del capitale investito. 

Ma se non esiste un “listino prezzi corretti”, esiste invece un livello di “costi di produzione corretti”. Ogni azienda prima di arrivare alla quantificazione dei prezzi di vendita di una scarpa, di una suola, di un impianto termoidraulico, di un intervento di riparazione, di una lavorazione, di un pacchetto turistico; deve individuare dettagliatamente la quantità delle materie prime, della lavorazioni, dei servizi direttamente necessari per realizzare l’unità di prodotto o servizio e deve altresì analizzare le singole fasi del processo aziendale che va dall’approvvigionamento dei fattori produttivi fino alla consegna e all’incasso del prodotto/servizio realizzato. Il costo di produzione del prodotto/servizio potrà dirsi “corretto” allorché, contemporaneamente: 

  1. a) la quantità dei materiali consumati per produrlo, comprensivo degli sfridi, è il minimo possibile; 
  2. b) la produttività del lavoro rappresentata dal rapporto tra la q.tà di prodotti realizzati nell’unità di tempo (ora, giornata) e la quantità di lavoro impiegata (ore lavoro), è quella massima possibile alla luce del livello di tecnologia e conoscenze tecniche disponibili; 
  3. c) i processi aziendali (cioè l’insieme delle operazioni che vanno dagli acquisti, alle lavorazioni, alla consegna, alla gestione amministrativa) sono i più brevi possibili e consentono la consegna dei beni/servizi nei termini contrattualmente concordati con i clienti. 

Gli elementi sopra citati esprimono i livelli di efficienza e di produttività aziendali. Scarsi livelli di efficienza e produttività determinano livelli di costi di produzione elevati che è difficile ribaltare sui prezzi di vendita dei prodotti e che rendono l’azienda meno competitiva all’interno del mercato in cui opera. E il mercato mal digerisce il dover pagare un prezzo del prodotto che incorpori il costo degli sprechi. 

Non basta fare la somma dei costi aziendali (diretti e indiretti, fissi e variabili) per quantificare il prezzo di vendita del prodotto/servizio, occorre preliminarmente effettuare un’analisi critica del contenuto del prodotto/servizio venduto (materie prime, lavorazioni e servizi necessari a realizzarlo), delle fasi delle lavorazioni necessarie, dei tempi del processo produttivo, della struttura aziendale nel suo complesso, dei processi aziendali indiretti e dei relativi costi fissi, al fine di verificarne il grado i efficienza e produttività

Si tratta di un esercizio poco praticato all’interno delle micro/pmi o quantomeno svolto in maniera scarsamente scientifica come, al contrario, l’importanza strategica dello stesso richiede. 

Quando si sente parlare di “competitività” a proposito del nostro sistema paese e del sistema economico relativo, s’intende proprio la capacità da un lato, dello Stato e della pubblica amministrazione in genere, di erogare un buon livello qualitativo di servizi al cittadino; e dall’altro, la capacità delle imprese di produrre beni e servizi con elevati livelli di efficienza e produttività, cioè tali da richiedere i più bassi costi dei fattori produttivi rispetto al livello attuale della scienza e della tecnica. 

Un settore economico in cui efficienza, produttività e costi di produzione hanno avuto un ruolo cruciale per l’evoluzione storica dello stesso negli ultimi decenni, è quello delle calzature. Fino a  tutto il decennio degli anni ’80 del secolo scorso, nei distretti calzaturieri italiani (marchigiano, toscano e veneto) veniva prodotta gran parte delle calzature vendute nel mondo occidentale. L’apertura dei mercati iniziata in quel periodo, avviò un processo storico-economico di divisione internazionale del lavoro che ha spostato gradualmente, ma in maniera decisa e sistematica, le produzioni in altri paesi a più basso costo di manodopera ed in via di sviluppo. 

La dinamica dei livelli di produzione di calzature in Italia dal 1970 ad oggi è emblematica:

Dal 1996 al 2009, la produzione italiana di calzature è passata da 483 milioni di paia a 198 milioni di paia. Una ripida riduzione di quasi il 60% in soli 15 anni! 

Quanto di tale processo d’impoverimento produttivo è imputabile a quella fase storica di divisione internazionale del lavoro e quanto invece allo scarso livello di efficienza e produttività delle nostre micro/pmi? Certamente le produzioni oggetto di delocalizzazione sono state quelle relative a prodotti di fascia medio bassa, mentre quelle relative ai prodotti di alta gamma sono rimaste in gran parte nei nostri distretti, soprattutto per l’impossibilità di trasferire e ripetere altrove tutto il know-how radicato nel nostro tessuto produttivo. 

Uno dei parametri specifici del settore delle calzature che contribuisce ad esprimere il livello di efficienza dell’impresa è il rapporto tra le paia prodotte al giorno dalla linea di produzione complessiva e il numero degli operai addetti direttamente sulla linea di produzione (manovia): cioè il numero delle paia prodotte al giorno per addetto. Ad esempio, dalla prassi e dall’esperienza empirica risulta che, per prodotti di fascia medio alta, può essere considerato un buon livello di produttività quello che va da 15 paia/operaio/giorno in su. Livelli di produttività più bassi possono essere giustificati soltanto da produzioni richiedenti lavorazioni particolarmente complesse. 

Come può competere, dunque, una micro/pmi sul proprio mercato senza massimizzare efficienza e produttività e senza sfruttare la tecnologia anche digitale oggi disponibile? Tra l’altro, la digitalizzazione presuppone che l’azienda abbia e mantenga costante l’attitudine e l’orientamento alla razionalizzazione e all’efficientamento di tutti i processi aziendali interni. 

Parola d’ordine: guardarsi dentro! Per cambiare ed essere competitivi. Guardare dentro la nostra azienda con lo strumento critico del Controllo di Gestione, dell’analisi economico-gestionale dell’Economista d’impresa, per capire cosa facciamo, come lo facciamo e a quali costi specifici. Tutto questo l’imprenditore della micro/pmi può realizzarlo soltanto convincendosi ad aprirsi ad un’analisi critica della propria realtà aziendale e al cambiamento di direzione necessario, affidandosi agli strumenti messi a disposizione dalla scienza economico aziendale, prerogativa della categoria dei Dottori Commercialisti-Economisti d’impresa. 

Raccichini Dr Francesco * (Commissione Studi sul Controllo di Gestione e Analisi Finanziaria, presso l’Ordine dei Dottori Commercialisti e E. C. di Fermo) 

 



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