facebook twitter rss

Catalini: «Sanità, o si cambia o si muore» Il monito e la ricetta del nuovo presidente FesMed

L'INTERVENTO del medico di origini fermane eletto alla guida della federazione sindacale dei medici dirigenti. «L’obiettivo principale è il superamento dei tetti di spesa al personale, per poter attuare forti politiche di assunzioni che recuperino i tagli del passato, escludendo il precariato ed il reclutamento di personale “a gettone”»

Giambattista Catalini

«Sanità: o si cambia o si muore». E’ l’aut aut di Giambattista Catalini, presidente FesMed, la federazione sindacale dei medici dirigenti.

Da qualche giorno, infatti, si è insediato il nuovo consiglio direttivo della FesMed «che – fa sapere il dottor Catalini – mi onoro di presiedere. Raccolgo il testimone lasciatomi dal presidente uscente Giuseppe Ettore, che ringrazio, insieme al professor Pierluigi Marini, al professor Marco Scatizzi e al professor Antonio Chiantera per il lavoro svolto sinora, e mi accingo a lavorare duramente per tutelare i diritti dei medici, e in particolare dei chirurghi e dei ginecologi che rappresentano la maggior parte dei nostri iscritti».

Dopo i ringraziamenti, Catalini entra nel vivo della questione: «Il momento che stiamo vivendo non è affatto semplice: la pandemia ha lasciato il Servizio Sanitario Nazionale con le ossa più rotte di prima; il Paese è chiamato ad affrontare, da ormai diversi mesi, una crisi bellica, energetica ed economica. Ma questo non può in alcun modo giustificare l’assenza perenne della sanità dall’agenda politica. Noi medici tuteliamo un diritto fondamentale di tutti, e le istituzioni devono rendersi conto della necessità di impegnarsi in difesa del Servizio Sanitario Nazionale, altrimenti destinato al fallimento».

«In questo scenario il ruolo dei sindacati di categoria è essenziale, e per questo Cimo e Fesmed hanno creato la Federazione per aumentare la loro rappresentatività e dunque il loro potere contrattuale: sono i sindacati che devono farsi portavoce dei professionisti, che conoscono meglio di chiunque altro i problemi degli ospedali, da affrontare e risolvere rapidamente; sono i sindacati che devono lottare per ottenere nuove risorse per valorizzare la professione; sono i sindacati che devono ottenere un contratto collettivo nazionale di lavoro soddisfacente, che migliori le condizioni di lavoro e blocchi la fuga dei medici dagli ospedali; un contratto che, in ogni caso, deve essere reso esigibile a livello aziendale, prevedendo un termine perentorio entro il quale le direzioni generali devono convocare i sindacati per avviare e concludere le trattative, pena la responsabilità erariale diretta del direttore generale. Ma l’obiettivo principale che dobbiamo cercare di raggiungere è il superamento dei tetti di spesa al personale, per poter attuare forti politiche di assunzioni che recuperino i tagli del passato, escludendo il precariato ed il reclutamento di personale “a gettone”. È poi essenziale completare la legge sulla responsabilità professionale depenalizzando l’atto medico, un aspetto ritenuto assolutamente prioritario soprattutto dai chirurghi e dai ginecologi: bisogna distinguere il bisturi del chirurgo dal coltello dell’assassino, e bisogna mettere mano alla questione assicurativa, raggiungendo un accordo per la copertura dei professionisti e delle Aziende Sanitarie. Non si guida senza assicurazione, figuriamoci se si può operare in assenza di copertura…Infine, si dovrà introdurre il contratto di formazione-lavoro per i medici specializzandi e avviare un processo di riforma della formazione post-laurea.  Obiettivi che dunque rispecchiano il “Manifesto per la nuova sanità” sottoscritto da tutta l’intersindacale della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria, compresa dunque la Federazione Cimo-FesMed. Sono tanti, troppi, i propositi prefissati? Forse sì, e non mi illudo che – conclude il presidente – riusciremo ad ottenerli tutti in breve tempo. Ma senza una riforma complessiva che dia vita ad una “nuova sanità”, potremo solo assistere al tramonto della sanità pubblica. Le grandi dimissioni dei colleghi e le sempre maggiori difficoltà di reclutamento del personale, anche a causa del rischio altissimo di denunce medico-legali che corrono soprattutto alcune specialità, come le chirurgiche e quelle nell’ambito dell’emergenza, sono segnali forti che non vanno ignorati. L’unico modo per mantenere in vita quel gioiello italiano che è la sanità universalistica, che cura tutti senza distinzioni sociali o economiche, è adeguare le condizioni di lavoro alle richieste del mercato. Dobbiamo in tutti i modi e quanto prima disinnescare quella che, altrimenti, esploderà come una vera e proprio bomba sociale».

 

 



Articoli correlati


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna alla home page


Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati




Gli articoli più letti