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SANITA’ CHE CAMBIA
La rivoluzione del dipartimento salute mentale dell’Area Vasta 4: “Chiusi i manicomi, aperti alla vita”

FERMO - Da una parte l'attenzione, sempre più alta, che riguarda il fenomeno tra gli adolescenti, dall'altra un percorso di cura  all'avanguardia dove il gioco di squadra tra medici, assistenti sociali, famiglie, Comuni e strutture residenziali rappresenta la soluzione verso la reintegrazione e il reinserimento sociale.

 

 

di Paolo Paoletti

2.500 contatti arrivati nel 2017 per una media di 13,8 abitanti su mille che si affidano al servizio pubblico. Dalla semplice consulenza fino alle patologie più gravi che arrivano a toccare quota 45 per cento, con l’attivazione di un percorso di cura che ad oggi interessa 2.300 pazienti. Sono solo alcuni dei numeri del Dipartimento Salute Mentale dell’Area Vasta di Fermo. Operatori della salute  e familiari si sono ritrovati insieme, per fare il punto a quarant’anni dalla legge Basaglia che ha rivoluzionato la concezione delle persone affette da problemi psichiatrici. Da una parte l’attenzione, sempre più alta, che riguarda il fenomeno tra gli adolescenti, dall’altra un percorso di cura  all’avanguardia dove il gioco di squadra tra medici, assistenti sociali, famiglie, Comuni e strutture residenziali rappresenta la soluzione verso la reintegrazione e il reinserimento sociale.

E proprio da via Zeppilli i vertici Asur hanno voluto lanciare questo messaggio: la psichiatria ha avuto un’evoluzione importante in cui al centro di ogni intervento c’è la dignità della persona, con percorsi mirati  e integrati in grado di poter tornare a far sviluppare i singoli talenti per un ritorno nella società. Lavorare per l’inclusione e per tornare a vivere.

IL PASSATO: REPRESSIONE E ISOLAMENTO

Il direttore dell’Area Vasta 4 Licio Livini  ha ripercorso la storia di questa evoluzione che vede proprio il distretto di Fermo come una delle realtà all’avanguardia, in prima linea per un lavoro di comunità sempre a contatto con le famiglie: “Siamo in questi luoghi che meritano rispetto – ha esordito Livini –  perché sono state scritte pagine tristi di quello che era il ricorso manicomiale dei nostri tempi fino alla riforma del ’78. Agli inizi del ‘900 erano situazioni d’internamento e segregazione come difesa sociale rispetto a persone che venivano marginalizzate perché ritenute pericolose. Agli inizi del secolo una legge del 1904 vedeva gli psichiatri anche  come addetti alla gestione dell’ordine pubblico. Stava prendendo una piega pericolosa questo tema, fino ad arrivare all’epoca del fascismo con il manicomio visto come strumento di bonifica sociale. Ci fu un boom di ricoveri e venivano tutti accumulati sotto la definizione di malati mentali anche se non lo erano. Il manicomio era arrivato ad essere strumento di repressione politica”.

LA RIFORMA BASAGLIA E LA SPERANZA DI UN RITORNO ALLA VITA

“La riforma Basaglia del 1978 ha fatto si che quello che era impossibile fino ad allora è diventato possibile – ha sottolineato Livini – La psichiatria ha cambiato volto. E’ stata restituita la dignità al malato, si è passati da una forma di ricovero obbligatoria a una forma volontaria e in cui l’obbligo resta solo nei casi più difficili. Di recente abbiamo avuto anche la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. La psichiatria ha avuto un’evoluzione importante, la chiusura vera a propria si è infatti avuta nel 2000. Gli ultimi ospiti della realtà fermana sono stati ricollocati nel 1997. Oggi rimangono delle difficoltà, come la carenza di personale su questo fronte e anche quella della psichiatria minorile e degli adolescenti. Non ci sono strutture e servizi tali da poter rispondere compiutamente a questo tipo di domanda che ci arriva dal territorio. Questa è la nostra nuova sfida”.

A spiegare questa rivoluzione ancora in corso è la dottoressa Mara Palmieri direttore del dipartimento fermano: “Noi operatori della salute mentale insieme all’associazione dei familiari Pschiche 2000 abbiamo voluto fare riflessione su come la situazione sia cambiata nel tempo e su come questo dipartimento si integra con la rete delle famiglia. La legge 180 parla di ‘persona affetta da’ e non  più di ‘malato’, ridà dignità alla persona.  Il paziente che viene preso in carico a livello territoriale intraprende un percorso di cura che ha come cardini la dignità, l’autonomia e l’inclusione sociale. Un settore sempre più attento alle esigenze delle persone con progetti terapeutici individualizzati tramite equipe mutidisciplinari. Una recovery che mira al recupero delle abilità individuali della persona in modo che il soggetto riesca a vivere la sua vita con le proprie abilità, perse durante i periodi di crisi”.

LA NUOVA EMERGENZA: ADOLESCENTI E MINORI

Se fino a qualche anno fa le direttive non prevedevano la raccolta dati per quanto riguarda i minori, oggi la situazione è cambiata. Se infatti il percorso di cura si rivolge all’età adulta, le nuove linee guida tengono gli occhi bene aperti anche sugli adolescenti a rischio tra i 15 e i 24 anni che nel 2016 sono stati quasi il 7% .  E proprio i possibili esordi psichiatrici rappresentano la nuova sfida, in sinergia anche con il mondo della scuola. Obiettivo non apporre nessuna ‘etichetta’ su ragazzi che spesso hanno problemi limitati e transitori dovuti all’età, ma allo stesso tempo intervenire in maniera tempestiva e preventiva nei casi potenzialmente più gravi. 

Dottoressa Palmieri che ha spiegato quella che è una delle nuove priorità: “Assistiamo alla trasformazione dell’espressione  della sintomatologia ad un’età di esordio sempre più bassa, tanti adolescenti. In questo caso è importante agire in maniera tempestiva per evitare la cronicizzazione. Importante anche la prevenzione. In questo è importante anche l’attenzione di alcuni sintomi che potrebbero manifestarsi da parte dalle famiglie e dalle scuole. Uno stress alto e una società sempre più competitiva può portare allo sviluppo di sintomi precoci. Molto spesso l’esordio è accompagnato da un uso improprio di alcool o altre sostante che non sono dipendenze, ma espressione di un disagio mentale e psichico che deve essere affrontato”.

IL RUOLO DELLE FAMIGLIE NEL PERCORSO D’INCLUSIONE SOCIALE

Fondamentale, in tutto questo il ruolo delle famiglie in grado di creare una rete di supporto emotiva per sostenere la famiglia nel percorso di cura. Spesso sono provate e in difficoltà a seguito di situazione complesse ma sono uno dei fattori decisivi insieme al personale sanitario. A spiccare è il ruolo dell’Associazione Psiche 2000, che raccoglie i genitori e  familiari di persone affetta da problemi psichici.

Angela Pallotti presidente di Psiche 2000 ha spiegato: “Questa associazione nasce dal bisogno della compartecipazione delle famiglie con il personale medico. Il malato di mente rischiava in passato di diventare un essere isolato non riconosciuto neanche come membro della famiglia. Oggi dopo la cura farmacologica  c’è quella sociale, uscire, tornare alla vita e riconquistare la salute mentale che è un bene comune. Stiamo vedendo che la società sta cambiando e siamo tutti un po’ coinvolti. Chi prima chi dopo abbiamo tutti qualcuno  di vicino con dei problemi. Prima la famiglia si sentiva quasi colpevolizzata, oggi abbiamo attivato dei progetti di collaborazione insieme all’Asur mirati alla riabilitazione sociale e all’aiuto alla famiglie con  gruppi di confronto e sportelli di ascolto dove indirizzare. E ancora riabilitazione per i ragazzi come l’orto terapia e un percorso di vita verso un’autonomia possibile. Sono andati  in barca a vela, hanno fatto  le vacanze  alle isole Tremiti. E ancora corsi per un titolo da pizzaiolo spendibile nel mondo del lavoro e per alcuni così è stato, attività di cucito, feste, balli, convegni formativi”.

Toccante e decisiva anche la testimonianza di Nicola Marziali, genitore e associato di Psiche 2000: “Ritengo che con la legge Basaglia sono stato chiusi i manicomi e aperte le famiglie che hanno assunto un ruolo fondamentale che entra a far parte del percorso di riabilitazione di queste persone insieme all’Asur. La famiglia deve essere aiutata a supportata. Nel percorso integrato tra famiglie, strutture, personale sanitario e soggetto stesso si riesce ad avere la massimalizzazione dei risultati. Mio figlio ha avuto il supporto della famiglia, dell’Asur, e dei servizi sociali, è entrato in comunità ha fatto il suo percorso insieme a noi, ora vive  in appartamento da solo per socializzare se stesso. Siamo entrati a far parte anche del tavolo regionale della salute mentale, dove ci si incontra si discute e si parla con chi legifera”

LA RETE D’INTERVENTO: PROFESSIONISTI AGGIORNATI PER RIABILITARE ALLA VITA

Una rete d’intervento fatta da tanti professionisti, dai loro volti, dal loro costante aggiornamento: un intero dipartimento al lavoro per la riabilitazione sociale del paziente.  Dopo la chiusura dei manicomi il dipartimento di Fermo è stato tra i primi a creare struttura riabilitative residenziali, per arrivare oggi a due centri diurni a Petritoli  e Porto Sant’Elpidio, due comunità alloggio, un gruppo appartamento e  un appartamento autogestito in cui vivono  tre persone uscite dalle strutture alla fine del loro percorso di cura. Inclusione sociale in piena autonomia che fa riferimento al centro di  salute mentale ubicato vicino all’ospedale che è la sede operativa e strutturale degli interventi con sedi diffuse nei distretti di Porto Sant’Elpidio, Montegranaro, Porto San Giorgio, Petritoli, con equipe multidisciplinari che lavorano sul territorio . Da qui tanti professionisti in prima linea come Silvana Zummo direttrice della struttura residenziale: “Recovey, autonomia e inclusione sociale sono le parole chiave su cui la legge 180 ha puntato. A Fermo  ci sono strutture di diverso grado,  partendo da quella Riabilitativa Residenziale che ospita un centro diurno. La comunità protetta socio assistenziale  ha raggiunto 40 posti letti. Nell’85 la Regione Marche varò il progetto obiettivo salute mentale e già all’epoca vennero previsti i primi centri di recupero. Nel 2004 è stata prevista la struttura riabilitativa residenziale a cui si sono aggiunti  i centri diurni, le comunità protette, e gli appartamenti. Le struttura riabilitative rappresentano una tappa della presa in carico del paziente che possono riprende il cammino tramite il potenziamento delle loro  abilità”.

Cinzia Scaramelli assistente sociale aggiunge: “Arrivata da Bologna sono rimasta sorpresa per il livello culturale e sociale all’avanguardia del territorio Fermo rispetto anche all’Emilia Romagna.  Sono onorata di aver lavorato qui e aver conosciuto grandi professionisti. Sono entrata nel 1996 con ancora 400/500 pazienti nel manicomio. Il servizio sociale di allora aveva costruito un centro di ricerca a formazione costante promuovendo figure nuova come quella dell’educatore professionale formato nella psichiatria.  Ad oggi possiamo vantare 135  aiuti di sostegno per le persone non in grado di tutelarsi e 125 borse lavoro e tirocini monitorati per aiutare al reinserimento. Aspetto innovativo è anche l’abitare sociale”.

Sabrina Petrelli, sociologa ha spiegato: “Il sociologo è un po’ come un drone con un’antenna che raccoglie le esigenze e i fabbisogni traducendoli in nuove progettualità.   Tra i progetti emersi, la necessità di avviare una sorta di domiciliarità diversa, che abbiamo chiamato domicilirità protetta. Il primo intervento ha riguardato tre persone con problemi molto gravi a cui abbiamo affiancato una figura riabilitativa presente quando i nostri servizi erano chiusi. Progetto andato molto bene. Da qui abbiamo continuato, potenziato i servizi a domicilio e abbiamo visto molti risultati. positivi. I nostri pazienti si ricoveravano di meno, mantengono la connessione con tutta la rete sociale, hanno un miglior approccio alle cure. Stiamo continuando con nuovi fondi, anche Statali”.

Annamaria Ciuccarelli educatrice professionale spiega proprio come questa giura : “Aiuti il paziente a portare avanti il percorso di riabilitazione  inteso come recupero e potenziamento della abilità. La figura di educatore professionale è nata proprio in questi spazi di Via Zeppill  nel 1991 con la la prima scuola  triennale per educatori professionale che ci ha visto impegnati nel percorso di chiusura dei manicomi”.

Una rivoluzione anche nella figura dell’infermiere come evidenziato da Antonella De Carolis coordinatrice infermere: “Un ruolo che è cambiato da custodialistico ad operatore dell’assistenza. Abbiamo competenze di natura tecnica, sanitaria, educativa e relazionale. Gestisco gli infermieri che vanno a domicilio degli utenti. Sa 20 anni il territorio è stato potenziato con educatori professionali. Seguiamo all’incirca 2.300 pazienti strutturati in equipe multi professionali di cui fanno parte un assistente sociale, educatori, infermiere e medico”.

Un gioco di squadra il cui impegno prosegue. Non lavoro in cui il ‘fattore umano’ fa la differenza e un legame con i pazienti che resta per la vita: “E’ difficile che un paziente si stacchi completamente dal dipartimento e dalle persone che lo hanno seguito – hanno spiegato le dottoresse Palmieri e Zummo – c’è sempre quel cordone ombelicale che resta. Abbiamo ancora contatti ancora pazienti seguiti all’inizio del nostro lavoro, cresciamo insieme”.

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